"Dialogo coi talebani non legati ad Al Qaeda"

Intervista al Piccolo del numero 1 della politica estera Ue, Javier Solana: «Il dialogo con i talebani? Sì, ma bisogna escludere le frange affiliate ad Al Qaeda»
TRIESTE Iran, Afghanistan, Pakistan, Corea del Nord e fenomeno della pirateria: sono questi i punti su cui si focalizza l'interesse dell'Unione europea al termine dei lavori del G8 dei ministri degli Esteri svoltosi a Trieste. A tracciare le linee guida è Javier Solana, Alto commissario Ue per la politica estera e le aree di crisi. Spagnolo, ha nella sua vita un'esperienza triestina che non dimentica. Ha trascorso infatti due estati, quella del 1978 e quella del 1979 al Centro di fisica di Miramare per dei corsi di specializzazione. Lui, infatti, è laureato in fisica, solo che da qualche decina d'anni da fisico delle particelle si è trasformato in fisico della diplomazia internazionale. «Fisico sì - precisa sorridendo - ma alchimista no», mentre si gode il profilo architettonico di piazza dell'Unità d'Italia.


Non crede che l'Unione europea dovrebbe fare qualche cosa di più riguardo alla situazione in Iran?
«L'Unione europea ha fatto molto. Ha seguito con grande attenzione gli eventi e ha condannato con forza la repressione del regime di Teheran contro gli oppositori dopo le elezioni presidenziali. Abbiamo anche cercato di dare, ove possibile, il nostro supporto. Ma non c'è molto altro che possa essere fatto. Ora dobbiamo monitorare attentamente come la situazione si evolve e definire in base a ciò la politica che bisognerà adottare a fronte di una probabile nuova situazione».


Come valuta la possibilità di aiuto che le ambasciate occidentali possono offrire agli iraniani perseguitati dal regime?

«Gli ambasciatori sono sotto controllo ma tutte le sedi diplomatiche stanno operando a Teheran in modo trasparente».


Nell'ambasciata italiana ci sarebbero 15 manifestanti feriti durante gli scontri dei giorni scorsi con la polizia che avrebbero chiesto un visto temporaneo. Un caso che potrebbe ripetersi anche nelle altre sedi diplomatiche?

«L'Unione europea non può immischiarsi in questa sorta di situazione ordinando ai propri Paesi membri di comportarsi in un modo o nell'altro. Se questi casi esistono spetta ai singoli Stati sovrani decidere e mi aspetto che ascoltino le richieste che vengono loro sottoposte, sempre nell'ottica del diritto internazionale».


La riunione dei ministri degli Esteri del G8, anche nel suo documento finale afferma che i negoziati sul dossier nucleare con l'Iran non potrà restare aperto in eterno. Secondo la sua opinione c'è un termine ultimo oltre il quale Teheran non potrà andare?

«Non è mai stato detto in nessun incontro che il dossier nucleare con l'Iran possa rimanere aperto senza limiti temporali. Teheran ha cercato in passato di riuscire a far passare la sua volontà di sviluppare l'aricchimento di uranio per fabbricare armi atomiche. È chiaro che questo ha mutato la prospettiva di dialogo. Questa posizione di Teheran è inaccettabile e anche per questo il negoziato non può durare in eterno. C'era la possibilità di fare un punto diplomatico sulla situazione nell'aprile scorso, ma la risposta dell'Iran fu quella di posticipare tutto a dopo le elezioni. Ma con la nuova situazione che si è venuta a creare nel Paese proprio dopo il voto presidenziale è molto difficile dire oggi quale sarà il futuro di questo negoziato».


Lei pensa addirittura che i negoziati possano saltare e si giunga a una situazione di guerra?

«No, non sto parlando di guerra. Io ritengo che il problema debba essere risolto politicamente, con la diplomazia, l'intervento delle Nazioni Unite, le sanzioni, che sono tutti strumenti che appartengono alla diplomazia».


E se Israele dovesse colpire militarmente l'Iran non pensa che saremmo a un punto di non ritorno?

«Non voglio credere a questa eventualità. Dobbiamo muoverci in modo che la crisi sia dominata dalla politica e non dalle armi. Anche in circostanze difficili come quelle che si evidenziano in queti giorni in Iran».


La Corea del Nord è un altro punto di crisi relativo alla proliferazione nucleare. A Trieste il ministro degli Esteri giapponese, Nakasone ha detto di aspettarsi un nuovo esperimento missilistico di Pyongyang. Se ciò avverrà, quale sarà la risposta della comunità internazionale?

«Le trattative con la Corea del Nord sono attuate da un gruppo di sei paesi della regione guidati dalla Cina. Negoziato che è stato interrotto proprio dai nordcoreani. La reazione è stata la risoluzione dell'Onu approvata all'unanimità. Una risoluzione che dobbiamo rispettare rigorosamente per vedere fino a che punto Pyongyang vuole arrivare prima di rendersi conto in quale posizione senza senso si sia cacciata. Un Paese che spende miliardi per lo sviluppo nucleare mentre il suo popolo muore di fame».


La Corea ha minacciato gli Stati che avrebbero bloccato le sue navi cargo in navigazione considerando quest'atto come un atto di guerra, proprio mentre si parla di un cacciatorpediniere statunitense che proprio in queste ore sta seguendo un mercantile battente bandiera nordcoreana...

«Sì, ma questa decisione è presente nella risoluzione dell'Onu che obbliga tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite a controllare il carico delle navi nordcoreane per vedere che queste non trasportino materiale utilizzabile nello sviluppo delle armi nucleari o missilistiche».


A breve sarà l'Afghanistan ad andare alle urne. Non teme che a Kabul possa avvenire una sorta di «iranizzazione» della situazione?

«Il paragone è impossibile. L'Afghaistan è un Paese con una forte presenza internazionale al suo interno, è un Paese impegnato con la comunità internazionale da un punto di vista economico, politico e della sicurezza. Niente a che vedere con l'Iran».


Ma l'opposizione afgana già prima del voto parla del presidente in carica Karzai come di un uomo oramai privo di potere...

«La situazione afgana non è comparabile a quella iraniana».


Servono rinforzi militari in Afghanistan?

«No, non credo che ci sia bisogno dell'invio di altri militari. Quello di cui c'è bisogno ora è incrementare l'addestramento delle truppe afgane e della polizia locale. Ed è proprio quanto sta facendo l'Unione europea con la sua missione, perché la sicurezza dello Stato è alla base di ogni costruzione istituzionale democratica. In quest'ottima i carabinieri italiani stanno svolgendo un lavoro eccezionale».


È favorevole al dialogo tra le autorità afgane e i talebani?

«Sì, ma bisogna avere molto chiaro in mente che cosa si intende andare a fare e con chi. Il mondo talebano è estremamente variegato. Ci sono gli affiliati di Al Qaeda, c'è la gente frustrata perché non ha lavoro e soffre la fame. C'è quindi una parte di questo "mondo talebano" che può essere recuperata per vivere in una società e sotto le regole di una Costituzione democratica in Afghanistan. Ed è solo con queste persone che è lecito il dialogo, un dialogo che dovrebbe essere guidato dalla comunità internazionale».


Il Pakistan rischia di essere «contaminato» dai problemi afgani?

«No, Afghanistan e Pakistan sono due Stati diversi, con una storia diversa. Una cosa che hanno in comune è il confine che è mal definito e che da anni provoca tensioni e permette ai terroristi di agire quasi indisturbati. Un limes poco controllato con un ingente traffico di popolazione che determina anche violenti scontri tribali e moltissimi rifugiati, tema del quale si è discusso anche qui a Trieste».


L'Ue si è molto impegnata nella lotta al fenomeno della pirateria. Ci conferma che l'Europa aiuterà gli Stati africani coinvolti a creare una Guardia costiera?

«Certo. Già qualche settimana fa abbiamo preso contatto con l'Onu e l'Unione africana per annunciare questa sorta di addestramento che siamo pronti ad attuare. Il quartier generale sarà situato a Gibuti. Ma stiamo attenti, la pirateria è un fenomeno molto difficile da combattere anche perché comprende un'area sterminata che va dal Canale di Suez fino alle Seichelles, passando per il Golfo di Aden. E, comunque, è un problema che troverà la sua definitiva soluzione sulla terra prima che sul mare. Ovvero, le sue cause vanno ricercate nella debolezza istituzionale degli Stati in cui sono proliferati gli attacchi marini e la Somalia ne è l'esempio più lampante».
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