Diaco, due farmacisti indagati per il Tradamix

Il pm contesta la vendita del prodotto non autorizzato dal ministero: è la pillola su cui si fonda buona parte del piano di salvataggio dell’azienda di Cerani

TRIESTE. I nomi di due farmacisti triestini, Paolo Ridolfi e Rossella Bravi, sono annotati sul registro degli indagati della Procura. Il pm Federico Frezza contesta loro di aver venduto un medicinale privo di autorizzazione ministeriale.

Nel mirino è finito “Tradamix”, uno dei tre prodotti a cui la “Laboratori Biomedicali Diaco spa” ha affidato la propria salvezza economica: dovrebbe garantire nei prossimi tre anni guadagni per nove milioni di euro e la sua commercializzazione costituisce uno dei pilastri del secondo piano di ristrutturazione del debito che l’azienda di Pierpaolo Cerani presenterà nei prossimi giorni alle alle banche creditrici. Il primo piano è stato respinto nei primi giorni di giugno dopo quasi due mesi di approfondimenti e analisi.

Il dottor Paolo Ridolfi è il titolare della farmacia “Cavedon” di piazza della Borsa 12, mentre la dottoressa Rossella Bravi gestisce la farmacia “All’Angelo d’oro” di via Silvio Pellico 1. Lì una decina di giorni fa i carabinieri del Nas avevano sequestrato di propria iniziativa alcune confezioni di “Tradamix”, messo in vendita da tempo come integratore alimentare. Il sequestro è stato convalidato dal magistrato ed è più che probabile che a breve scadenza siano “indagati” altri titolari di farmacia che hanno messo in vendita lo stesso prodotto. Il terzo comma del Decreto legislativo 219 del 2006 prevede che sia coinvolta nell’indagine tutta la catena di produzione e commercializzazione dei prodotti posti sotto sequestro: anche i farmacisti, l’ultimo anello di questa catena.

Se l’inchiesta dovesse sfociare in un processo penale la condanna prevista dalla legge è poco più che simbolica: una mite pena pecuniaria a cui però deve essere affiancato un periodo di chiusura forzata della farmacia che può protrasi fino a un mese. I danni per i titolari sarebbero enormi. Per il “Tradamix” e per il piano di salvataggio che la “Laboratori “Biomedicali Diaco spa” sta per presentare all’Unicredit e alla Banca Intesa, la partenza è tutta in salita. Quanto ripida non si sa. Certo è che lo si comprenderà il 21 luglio, quando il Tribunale civile presieduto dal giudice Giovanni Sansone, deciderà sulla richiesta di fallimento della Laboratori Diaco, presentata dal pm Federico Frezza fin dallo scorso dicembre. Determinante sarà però il giudizio delle banche che di fatto hanno il “cerino” in mano. Se diranno «sì» al piano di ristrutturazione del debito, la Laboratori sarà salva; se diranno «no», la società seguirà il proprio destino e con essa i 120 dipendenti.

Ma ritorniamo all’inchiesta che coinvolge per ora i due farmacisti ma che nelle prossime ore sembra destinata ad estendersi. La Procura li ha convocati per interrogarli. La legge sui farmaci integrata dalle interpretazioni prevalenti della Corte di Cassazione, dice «che è medicinale ogni sostanza o associazione di sostanze presentate come aventi proprietà curative o profilattiche delle malattie»

Il “Tradamix” o meglio il foglietto illustrativo inserito nella scatola, afferma che i componenti del prodotto hanno una azione antinfiammatoria, un potente effetto antiossidante e riescono a esplicare un’azione protettiva sui corpi cavernosi. Per il pm Federico Frezza è chiara l’indicazione di un’azione terapeutica e curativa. Ma il “Tradamix” viene venduto come integratore alimentare e la pubblicità suggerisce che sia un toccasana per stimolare nel tempo virilità assopite. «Abbiamo tolto il foglietto illustrativo e abbiamo bloccato la vendita delle confezioni che lo contenevano» ha spiegato ieri l’avvocato Emanuele Urso, legale della società. Basterà questo per salvare il “Tradamix” e il piano di ristrutturazione del debito?

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