Diaco, c’è la firma: la proprietà è ucraina

Un investimento da due milioni e mezzo da qui al 2016, per una prospettiva da 90 posti di lavoro una volta portata la fabbrica a pieno regime. I cui tempi, per arrivarci, dipenderanno pure dalla burocrazia italiana, sotto forma ad esempio di permessi con il timbro dell’Aifa, l’Agenzia nazionale del farmaco. La nuova vita della Diaco riparte dunque da un paio di obiettivi dichiarati, di natura finanziaria e occupazionale, tanto schietti quanto ambiziosi, impegnativi. E riparte soprattutto (come era venuto a galla una prima volta una decina di giorni fa, non appena i sindacati avevano portato a casa la garanzia del rinnovo della cassa integrazione straordinaria e del futuro richiamo in servizio dei 34 dipendenti superstiti ma rimasti da mesi senza lavoro) da un “padrone” straniero. Ucraino, per precisione geografica.
Da poche ore, in effetti, l’atteso passaggio dei Laboratori Biomedicali Diaco di via Flavia dalle mani della Sm Farmaceutici (la Srl di scopo a metà fra Parma e Potenza che a fine 2012 si era presa il gruppo dal fallimento conseguente al crac Cerani dell’anno prima) a quelle della neonata Diaco Biofarmaceutici (un’Srl pure questa, di proprietà per l’appunto di due cittadini ucraini) è divenuto ufficiale. E con l’ufficialità sono arrivati così i primissimi dettagli dell’operazione.
Il contratto di compravendita (il risultato finale di mesi di trattative mosse nell’ombra e seguite nel ruolo di advisor dai commercialisti Giuseppe Alessio Vernì e Stefano Fermo dello studio Vernì-Visentin e associati) è stato siglato venerdì a ora di pranzo in pieno centro, nello studio Gelletti-Ruan, davanti al notaio Pietro Ruan: l’hanno firmato da una parte Franco Serventi e Vito Rocco Miraglia, ovvero i soci-amministratori della Sm uscente, e dall’altra Cristina Apollonio, cioè l’amministratore unico della Diaco Bioarmaceutici entrante. Non erano le uniche presenze all’atto degli autografi. C’erano anche i proprietari della nuova Diaco rappresentata con potere di firma da Apollonio, i due investitori ucraini di cui, finora, s’era saputo ben poco, se non che erano già attivi in campo biomedicale al di fuori dei nostri confini. Ebbene, la loro identità appartiene proprio a quella serie di dettagli usciti ora allo scoperto. Si tratta di Nataliya e Dmytro Derkach, moglie e marito trentenni. Una simile sommaria descrizione porterebbe a immaginare siano due giovani industriali dalle spalle coperte a caccia di business all’estero. Il loro profilo, si legge nel comunicato ufficiale predisposto da Apollonio dopo la firma, è però altro. Sono ricercatori o, meglio, manager scientifici, assai quotati evidentemente, i quali vedono nel marchio Diaco - che all’estero continua a dire e a incarnare qualcosa, nonostante il crac Cerani - la possibilità di un salto imprenditoriale: i coniugi Derkach sono infatti due «manager laureati in Medicina e già impegnati» in fatto di «innovazione medicale, ricerca e sviluppo di prodotti per la terapia infusionale». «Lavorano» insomma, precisa a voce Apollonio, «per aziende farmaceutiche estere, ma sono in questo caso loro due a esporsi, come soci-proprietari, per il rilancio della Diaco». E i soldi? La copertura, in larghissima parte, è bancaria: «L’investimento finanziario è stato approvato da un istituto di credito sulla base del piano industriale». A proposito di soldi: l’entità della transazione è top-secret. È presumibile, ad ogni modo, che la nuova proprietà abbia acquisito la fabbrica di via Flavia dalla Sm per una cifra vicina ai cinque milioni, il doppio del futuro piano di investimenti. Lo si può ipotizzare tenendo in conto che a fine 2012 la stessa Sm, per avere il pacchetto delle tre aziende Diaco dal fallimento Cerani, aveva sborsato dieci milioni e passa. Da quest’operazione invece sono rimaste fuori la capogruppo Diaco Spa e la Novaselect di Potenza. La compravendita ha riguardato, quindi, i soli Laboratori Biomedicali Diaco di Trieste, che costituiscono il pezzo pregiato di quel pacchetto.
@PierRaub
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