Detenuti meno soli grazie all’impegno del volontariato

Artigianato e sport per insegnare loro la cultura del lavoro Don Alberto: «È povera gente, di 15 nazionalità diverse»
Bumbaca Gorizia Rivolta in carcere
Bumbaca Gorizia Rivolta in carcere

GORIZIA «Rispetto a un tempo, i detenuti sono cambiati. Non abbiamo più, ad esempio, i contestatori, i brigatisti. Ormai, si tratta solo di povera gente di 14-15 nazionalità diverse a cui mancano cultura e attenzioni». Parola di don Alberto De Nadai (nella foto). Ex garante dei detenuti è da sempre vicino a chi vive sulla propria pelle l’esperienza del carcere. Con tanta pacatezza, ma anche con tanta tenacia, sta completando tre nuovi progetti rivolti ai detenuti: un corso di rilegatura, un lavoro di restauro e la creazione di un campo di pallavolo.

«L’obiettivo non è quello di far passare il tempo, né di far ricavare qualche soldo. Con i volontari penitenziari della Casa circondariale di Gorizia desidero insegnare la cultura del lavoro: la puntualità, il senso di responsabilità, l’attenzione per gli strumenti che si utilizzano. Una volta usciti dal carcere i detenuti dovranno trovarsi un’occupazione». Il lavoro di rilegatura condotto da un artigiano, riguarda registri di detenuti che, dopo aver provato a Gorizia l’esperienza del carcere, sono stati internati in campi di concentramento. Il progetto si propone di valorizzare un preciso momento culturale della città, favorendone la conoscenza: «I registri verranno poi esposti nell’ambito di èStoria, nel 2019 - racconta don Alberto -. Si tratta di un’operazione di cesello, molto lunga, delicata».

L’intervento di restauro, sempre condotto da una professionista, riguarda invece alcune formelle in gesso di fine Ottocento/inizi Novecento rappresentanti la Via Crucis. «Non si tratta soltanto di un lavoro manuale: anche in questo caso, infatti, c’è la possibilità di imparare molto». Inoltre, c’è la creazione di un campo di pallavolo con l’intervento degli appartenenti all’oratorio Pastor Angelicus del Duomo di Gorizia per consentire un salto di qualità al tempo libero dei detenuti: un tempo libero che oggi, spesso, è drammaticamente vuoto. «È un lavoro di squadra. Chi è in carcere apprende così a far attenzione non solo a se stesso. E un domani, quando otterremo tutti i permessi, delle squadre esterne potranno confrontarsi con quella dei detenuti. Vuol essere un modo per far aprire il carcere alla città e viceversa», dice don Alberto che ha proposto questi tre progetti e li sta seguendo quotidianamente: non è un caso che il loro titolo sia “La città entra in carcere”.

«Son progetti che stanno andando molto bene. In fondo, il carcere sta cambiando: anche da parte dell’amministrazione, non vuol essere più una pena, ma l’occasione per un reinserimento, per un lavoro su se stessi, per una rieducazione da compiersi non solo a parole ma con tutta una serie di attività».

Per più anni don Alberto è stato “garante provinciale delle persone private della libertà personale”. Cadendo la Province, è cessato anche il suo incarico. Ma nel penitenziario di Gorizia rimane assistente spirituale. «La figura di un garante, però, manca - sottolinea -. In sostanza, manca qualcuno che porti a Roma determinate istanze. Vediamo se il sindaco Ziberna nominerà qualcuno». Chissà se avremo un De Nadai bis. «No di certo - risponde il sacerdote -. Ormai io sono stanco e vecchio».

Ma la passione è quella di sempre, quella passione che lo porta, assieme ai volontari della Casa circondariale di Gorizia, a divulgare una cultura dell’accoglienza «secondo i principi della Costituzione» tiene a precisare. Peraltro, in questi anni, di progetti ha contribuito a farne concludere altri, ad esempio la sistemazione della biblioteca, oggi diventata punto di incontro per attività culturali nel carcere.

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