Deridono e legano un atleta minorenne: allenatori e compagni di vasca sospesi

TRIESTE Legato con una corda, sbeffeggiato dai compagni e preso di mira dai suoi stessi allenatori nelle chat di Whatsapp. La vittima è un ragazzino che, fino a non molto tempo fa, era iscritto alla Triestina Nuoto. Sul caso, dopo l’esposto dei genitori, è intervenuta la Procura Federale della Fin, la Federazione italiana nuoto, che ha sanzionato i responsabili degli atti di bullismo sul giovane: 10 giorni di sospensione per due allenatori, 15 giorni per due compagni minorenni e un mese per l’unico maggiorenne.
L’episodio - senza precedenti all’interno della storica società - è avvenuto un anno fa ma i verdetti sono arrivati solo a metà gennaio. Nel frattempo il ragazzino è stato seguito da due psicologi che hanno certificato il disagio dovuto a quanto subìto. «Nostro figlio si è chiuso in se stesso», dicono la mamma e il papà. Trattandosi di un minorenne, la sua identità (e quella delle persone ritenute colpevoli) resta necessariamente segreta.
Il ragazzo ha raccontato ai genitori di essere stato bloccato e poi legato con una corda su una colonna in un magazzino attrezzi della piscina Bruno Bianchi. È accaduto il 24 febbraio dell’anno scorso. Erano in tre: il figlio (maggiorenne) di uno dei componenti del direttivo della società e altri due minori. Poi è stato deriso. Il giovane ha reagito sputando a uno dei tre e, per tutta risposta, si è visto tirare un pallone in faccia.
Uno scherzo di cattivo gusto tra coetanei? Può darsi. Ma il giovane si è sentito ferito. Tanto più dopo quanto accaduto nel mese successivo alla fine di una gara fuori Trieste. «Eravamo in macchina in autostrada sulla via del ritorno – ricorda il padre – a un certo punto mio figlio è sbottato e ci ha fatto vedere il cellulare: c’era una chat tra compagni in cui si parlava male di lui, e in cui uno degli allenatori scommetteva pure sulla gara che mio figlio aveva fatto». La chat in effetti c’è: dagli screenshot allegati agli atti i toni appaiono comunque scherzosi. Degli “sfottò”, insomma. Ma, visto il precedente, il ragazzo si sente preso di mira.
A maggio, inoltre, il giovane viene escluso da una competizione. Il motivo? Non avrebbe tenuto un comportamento adeguato durante un allenamento. «Ci è parsa una scelta spropositata - commenta la mamma -: ha detto una parola offensiva nei confronti di un altro compagno e per questo lo hanno messo fuori». La famiglia non ci sta e prepara due verbali per segnalare i fatti ai collegio dei probiviri della Triestina Nuoto. La risposta arriva per entrambi i documenti: il collegio stigmatizza i comportamenti lamentati dai genitori considerandoli «non degni e conformi di un sano ambiente sportivo». Anche se non viene riscontrato un effettivo «accanimento» sul diretto interessato.
La questione, dopo i dovuti chiarimenti, sembra chiusa. Ma non per i genitori. «Il provvedimento che ne è seguito per il compagno maggiorenne che aveva legato nostro figlio, cioè l’allontanamento di un giorno dalla vasche, non ci è parso sufficiente - osservano -. E poi siamo stati trattati come dei rompiscatole». La vicenda continua con scambi di mail, la rimozione del giovane dalle chat di gruppo (in una conversazione un allenatore parla del ragazzo additandolo come «mela marcia»), i tira e molla sullo svincolo del suo cartellino e il pagamento della quota.
Ma la famiglia non molla e manda un esposto alla Procura Federale della Fin che avvia un procedimento e convoca il giovane e la famiglia. Risultato: scattano le sanzioni per i due allenatori coinvolti (10 giorni di sospensione), per il maggiorenne che aveva preso parte all’episodio in magazzino (un mese di sospensione) e per gli altri due minori presenti in quell’occasione (15 giorni). La Triestina Nuoto, invece, è costretta a pagare 500 euro di ammenda. —
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