Demanins, il futurista che fotografò il Regime

Le opere date a lungo per disperse, molte invece sono conservate a Trieste, all’Istituto di storia della liberazione: gli eredi le reclamano

Le sue fotografie erano state date per disperse, inghiottite dal turbine della Guerra mondiale così come è accaduto al loro autore, il fotografo Ferruccio Demanins, ucciso dalle bombe lanciate dagli aerei che il 10 giugno 1944 si erano avventati su Trieste. Era stata la più pesante incursione di tutto il conflitto e del fotografo che quel giorno lavorava nei pressi dello scalo legnami per “Il Piccolo” non furono trovati che qualche brandello del corpo e una scarpa.

Ora una significativa parte dell’archivio di questo autore, futurista in un primo tempo e poi documentarista, è riemersa dall’oblio: sono disponibili un migliaio di stampe d’epoca, lastre e pellicole che raccontano gli anni del fascismo. Attorno a questo archivio si è però aperta una battaglia legale. Gli eredi di Ferruccio Demanins, in prima persona suo nipote Paolo, vogliono ritornarne in possesso perché chi ha tenuto le immagini nel cassetto per anni e anni - l’Istituto regionale per la storia del Movimento di liberazione - a loro giudizio non ha alcun titolo per esserne il proprietario; ne ha tenuta “riservata“ l’esistenza alla famiglia dell’autore e al pubblico, non ha organizzato mostre, non ha realizzato libri, non ha nemmeno inserito esplicitamente il nome di Demanins nel proprio sito. «Noi questo archivio lo abbiamo conservato, riordinato e scannerizzato. In sintesi lo abbiamo in deposito e ci ripromettiamo nei prossimi anni di realizzare una mostra», dichiara Annamaria Vinci, presidente dell’Istituto regionale.

La storia è quella di un autore che avuto la “colpa” di stare dalla parte sbagliata. Ferruccio Demanins era un fascista e non ne faceva mistero; ha pilotato aeroplani, ha scritto racconti e articoli per riviste e giornali, ma soprattutto ha guadagnato un posto significativo nella storia della fotografia non solo italiana. Di recente il suo nome, non una sua immagine, compare in una tesi di laurea dell’Università islandese di Reykjavik in cui viene approfondito il difficile rapporto tra secondo futurismo e fotografia. A 24 anni, nel 1927, Demanins aveva iniziato a lavorare in uno studio tutto suo. Sull’insegna al numero 39 di viale XX settembre si leggeva “Stabilimento fotografico nazionale”. Nel 1931 i primi successi e riconoscimenti collegati all’esposizione di 16 foto nell’ambito della “Prima mostra triestina di pittura e aeropittura futurista” organizzata in via della Borsa da Bruno Giordano Sanzin e alla cui inaugurazione Filippo Tommaso Marinetti pronunciò un discorso. Tra gli espositori il giovanissimo Fosco Maraini, antropologo e padre della scrittrice Dacia, Arturo Bragaglia e Wanda Wulz con la sua “Io gatto”.

Si potrebbe continuare a lungo con i riconoscimenti raccolti da Demanins negli Anni Trenta. Basta dire che divenne il fotografo di riferimento del Regime a Trieste e realizzò in questa veste un reportage, poi divenuto libro, sulla visita di Mussolini alla Venezia Giulia. In questa “visita” il duce annunciò, dall’alto di due immensi timoni che coprivano parte della facciata del Municipio, le leggi razziste discriminatorie degli ebrei. Demanins era stato ammesso su uno di quei “timoni” e aveva scattato molte immagini al Capo del Governo e alla folla oceanica e osannante. Da queste foto emerge in modo cristallino come il fascismo usasse sapientemente l’immagine a scopo propagandistico-politico. “Federali”, gerarchi, ministri compaiono con frequenza ridondante tra braccia tese e gagliardetti. Altrettanto emerge dall’analisi delle mille immagini “dimenticate” che stanno emergendo dai cassetti dell’Istituto di storia del movimento di liberazione. Ecco alcuni titoli con cui sono state archiviate: “Rapporto ai fasci di Grado e Pieris”; “Inaugurazione casa del fascio di Postumia; “Parata militare a San Giusto”; o ancora “Consegna drappelli Battaglioni Gioventù italiana del Littorio”; e “Consegna coppa alla runa”.

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