Delitto in seminario a Trieste, Don Piccoli in carcere a Rebibbia: «La fede lo aiuta a scontare la pena»

Il sacerdote, dimesso dall’ospedale Gemelli di Roma, inizia a espiare la condanna a 21 anni e mezzo per l’omicidio di monsignor Rocco. L’avvocato del prete: «Gli ho fatto visita, ha accettato il verdetto»

Maria Elena Pattaro
Don Paolo Piccoli
Don Paolo Piccoli

 

Don Paolo Piccoli è dietro le sbarre, nel carcere romano di Rebibbia. Il sacerdote, condannato in via definitiva per l’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco, ha iniziato a scontare la pena: 21 anni e 6 mesi. Il verdetto della Cassazione, emesso a fine gennaio al termine del processo “bis”, lo aveva raggiunto mentre era ricoverato all’ospedale Gemelli di Roma, dove nei giorni precedenti si era sottoposto a un intervento chirurgico.

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Don Piccoli

Il trasferimento in carcere

L’esecuzione del dispositivo, che di per sé sarebbe immediata, era slittata in avanti per il tempo necessario alla convalescenza. Una volta dimesso dal Gemelli, il 59enne veronese è stato trasferito nella casa circondariale di Rebibbia.

«Trova conforto nella fede – riferisce il suo avvocato Vincenzo Calderoni, che è andato a trovarlo in questi primi giorni di reclusione –. Mi ha ribadito quello che già aveva espresso all’esito della sentenza e cioè che se in Cielo si è voluto così, lui accetta il proprio destino». Pur continuando a professarsi innocente, come ha sempre fatto. Se la giustizia penale ha messo un punto alla vicenda, resta da capire quali provvedimenti prenderà ora la Chiesa. Don Piccoli, già in pensione per motivi di salute, ha prestato servizio nell’arcidiocesi dell’Aquila prima di essere ospitato nella Casa del Clero di Trieste. È lì che undici anni fa si è consumato il delitto.

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Monsignor Giuseppe Rocco

Secondo gli ermellini non ci sono dubbi: è stato don Piccoli a uccidere il 25 aprile del 2014 l’anziano monsignore, 92enne ex parroco di Santa Teresa. Il movente? La vittima lo avrebbe sorpreso a rubargli alcune statuette religiose. Monsignor Rocco era stato soffocato e strangolato nella sua camera, nella Casa del Clero del seminario, in via Besenghi.

Il lungo iter giudiziario

La vicenda ha avuto un lungo iter giudiziario. Nei primi due gradi di giudizio il sacerdote era stato condannato a 21 anni e mezzo. Un primo ricorso in Cassazione aveva portato alla celebrazione di un nuovo processo davanti alla Corte d’appello di Venezia, che lo scorso marzo si era pronunciata confermando di nuovo la condanna. Di qui il nuovo ricorso ai giudici della suprema corte, che hanno confermato la sentenza, ora irrevocabile.

Nel primo processo la Cassazione aveva annullato la condanna in appello per una violazione del diritto di difesa. Era stata la stessa Procura generale a chiedere l’accoglimento di quello specifico motivo di ricorso. Per la difesa gli accertamenti tecnici del Ris sulle tracce di sangue trovate sul letto della vittima e la consulenza autoptica che aveva riscontrato la rottura dell’osso ioide non sarebbero stati ammissibili.

Erano tutti accertamenti irripetibili, ma don Piccoli non era stato avvisato quando erano stati disposti in quanto non ancora iscritto nel registro degli indagati. Secondo il ricorso c’era già un quadro indiziario delineato che avrebbe dovuto portare l’organo inquirente ad avvisare Piccoli dell’esecuzione di quegli accertamenti. E così il processo era ricominciato dal secondo grado.

L’omicidio

Don Giuseppe era stato sorpreso nel sonno, all’alba. L’omicida – secondo la ricostruzione emersa in aula – aveva tappato naso e bocca all’anziano prete e poi stretto forte la gola, al culmine di una colluttazione. In un primo momento, vista anche l’età del religioso, quella morte era apparsa come un decesso naturale. Erano state poi le tracce di sangue presenti sulle lenzuola della vittima a destare l’attenzione degli inquirenti. «Giustizia è fatta. A undici anni dall’omicidio nostro zio può finalmente riposare in pace», così i nipoti di monsignor Rocco, parti civili nel processo, hanno accolto il verdetto definitivo. —

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