Delitto di Gradisca, due le coltellate letali

GRADISCA D’ISONZO. Una o forse due coltellate mortali. È questo il primo esito emerso dall’autopsia sul corpo di Migena Kellezi. Per conoscere i risultati definitivi dell’esame necroscopico si dovranno però attendere 60 giorni. Ieri, alla presenza delle parti, il medico legale Carlo Moreschi ha analizzato e descritto le ferite inflitte alla donna giovedì mattina dal marito Dritan Sulollari nell’appartamento di Gradisca d’Isonzo dove la coppia viveva. Se da un lato è confermato che i tagli sono oltre una decina, dall’altro le ferite indicano un’azione confusa da parte dell’assalitore.
Intanto l’ex cameriere rimane in carcere a Gorizia. Come anticipato ieri, il giudice per le indagini preliminari Flavia Mangiante ha negato all’uomo i domiciliari chiesti dall’avvocato Paolo Bevilacqua. Secondo il gip, oltre al pericolo di fuga o all’inquinamento delle prove, Sulollari potrebbe uccidere ancora. Il legale della difesa è intenzionato a impugnare il provvedimento di fronte al Tribunale del riesame di Trieste. «La conferma della custodia – spiega Bevilacqua – era annunciata, ma ho delle riserve sulle esigenze indicate dal provvedimento. Siamo consapevoli dell’atrocità del reato, ma un conto è l’esigenza cautelare, un’altra è quella di condanna. Non è in questo momento che il mio assistito deve scontare l’ergastolo. Non c’è pericolo che scappi, né che inquini prove già raccolte e neppure che possa reiterare il reato. Il carcere mi può stare bene, ma non per le motivazioni indicate dal gip. Questo mi costringerà a rivolgermi al Riesame».

In merito all’autopsia, il legale di Sulollari non commenta. «Su questo chiedo solo di lasciare lavorare il consulente». Bevilacqua non ha digerito però il commento del sindaco di Gradisca Linda Tomasinsig («In queste ore sentiamo solamente la voce del suo aggressore, attraverso un legale particolarmente loquace»). «Io sto cercando di capire – spiega il difensore dell’uxoricida –. Lui è vivo e sa bene che in pochi secondi ha distrutto tutto».
Nei fatti, il tentativo è quello di inquadrare l’omicidio in un contesto reale e non di emozioni. Lungi dal giustificare il gesto (le responsabilità sono state peraltro riconosciute dallo stesso Sulollari fin dall’inizio), l’avvocato nota: «Questo è un dramma familiare. È il dramma di una persona che si chiude in sé stessa e che esplode non perché ce l’ha con la moglie, ma perché ce l’ha con sé stessa. Esplode lui, perché si sente un fallito e non ce la fa più. Io, in questo momento, sto cercando di ricostruire una persona che ha bisogno di aiuto e assistenza perché sta cercando di capire come può essere arrivata a tanto. È una tragedia. Lui è preoccupato e afflitto per il figlio. Sta piano piano prendendo consapevolezza del fatto che ha perso tutto».

La coppia viveva sotto lo stesso tetto, ma in attesa della separazione era di fatto già divisa da tempo. A tenerla insieme c’era soltanto il figlio. E proprio l’affidamento del bambino - insieme al fatto che lei gli abbia rinfacciato il fatto che fosse disoccupato da diversi mesi - sarebbe all’origine della discussione scoppiata mercoledì mattina nell’appartamento di via della Campagnola 21. Sulollari ha impugnato il coltello seghettato del pane e ha cominciato a brandirlo contro la moglie colpendola alle braccia, al petto e alla gola perché accecato dal senso di frustrazione e di impotenza. Tutto si è consumato in pochi istanti, istanti che hanno però distrutto una famiglia. Del caso si sono occupati i carabinieri del Nucleo investigativo di Gorizia coordinati dalla pm Laura Collini.
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