«Delitto Carli, lei sapeva tutto»: la sentenza che inchioda Kostic
TRIESTE. Sapeva eccome, la serba Ljubica Kostic, cosa andava a fare la banda di connazionali nella villa di Opicina del settantacinquenne Aldo Carli, l’ex commerciante torturato e strangolato la notte del 20 dicembre del 2017. Una spedizione punitiva, finita poi in omicidio, per un giro di soldi, tra scambi di gioielli e conti all’estero.
La quarantasettenne era assieme a Olivera Petrovic, la donna con cui Carli era in affari e che forse è la mandante del blitz, a Dusan Pejcic e a Milan Pesic a bordo della Punto nera usata per raggiungere l’abitazione del settantacinquenne in via del Refosco. Petrovic e Pejcic risultano ancora latitanti, mentre Pesic (un ex poliziotto) è detenuto in Serbia per altri reati. Quella notte il gruppo era partito da Quarto d’Altino, luogo di residenza di Kostic, munito di nastro e fascette di plastica, utilizzate poi per strangolare la vittima, dopo averla picchiata e seviziata.
Il ruolo di complice della quarantasettenne emerge adesso in tutta chiarezza nelle motivazioni della sentenza di condanna per concorso in omicidio e rapina, uscite in questi giorni. La Corte d’Assise, presieduta dal giudice Pier Valerio Reinotti (Francesco Antoni a latere, sei i giudici popolari), il 27 maggio aveva dichiarato l’imputata colpevole applicando una pena di 12 anni di reclusione.
Kostic (difesa prima dall’avvocato Paolo Codiglia e poi dall’avvocato Alessandro Giadrossi) dal canto suo aveva proclamato la propria innocenza, sostenendo che i connazionali l’avevano tenuta all’oscuro di tutto. E che lei, in quell’auto, ci era salita per ottenere un passaggio a Vienna. Menzogne, secondo la Corte, dimostrate nell’indagine del pm Federico Frezza.
L’imputata aveva fatto da «fiancheggiatrice», si legge nelle motivazioni. Innanzitutto perché nei giorni antecedenti l’assassinio la donna aveva ospitato nel proprio alloggio di Quarto d’Altino la banda. «E si rammenti – precisa la sentenza – che Kostic alcuni giorni prima era venuta a Trieste a prendere Dusan Pejcic».
Difficile poi che Kostic non si fosse accorta che i connazionali si erano portati con sé in auto le fascette e il rotolo di scotch. Tutto ciò lascia intendere «che non vi fossero ragioni per tenerle celate movimenti e intenzioni». Improbabile, peraltro, che una banda di criminali decida di farsi accompagnare in macchina da qualcuno che potrebbe risultare un testimone scomodo «se non è persona di tutta fiducia».
Kostic, come detto, negli interrogatori ha affermato di essere salita sulla vettura per un semplice passaggio a Vienna. Ma il percorso da Quarto D’Altino avrebbe dovuto seguire l’autostrada per Palmanova-Tarvisio senza spingersi fino a Trieste. Petrovic, inoltre, nei suoi contatti con Carli aveva usato il cellulare di Kostic. Non si sa se la quarantasettenne sia entrata nella villa della vittima, partecipando al pestaggio. Forse ha fatto da “palo” aspettando fuori in auto. Kostic, infine, è stata trovata dagli investigatori con 3.500 euro. Un compenso in cambio del silenzio.
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