Delitto Carli a Opicina, fari dell’Europol sulla regista
TRIESTE Olivera Petrović Ristić, la presunta mandante del brutale omicidio del gioielliere di Opicina Aldo Carli, figura nell’elenco delle criminali più ricercate d’Europa.
Il delitto era avvenuto esattamente tre anni fa, la notte del 20 dicembre del 2017. Il commerciante – che all’epoca aveva 75 anni – era stato picchiato, torturato e strangolato nella sua villa di via del Refosco da un gruppo di serbi. Gli assassini forse cercavano l’oro che Carli trafficava clandestinamente all’estero. E che si presume nascondesse in casa.
Nella villa, quella notte, era entrata anche Olivera Petrović. La donna ha 38 anni. Secondo le ricostruzioni investigative Petrović in passato si prostituiva. Carli la conosceva sin dal 2011. Ed era a lei che il commerciante affidava i gioielli da piazzare nel mercato nero (all’Est, ma anche in Turchia) in cambio di soldi e sesso.
Dopo l’omicidio Petrović era fuggita assieme ai complici. Risulta latitante, dunque, da tre anni. Il suo identikit è nelle banche dati dell’Europol, l’agenzia europea di Polizia che affianca gli Stati membri nella lotta alla criminalità internazionale e al terrorismo. Il nome è stato inserito nella lista delle 18 donne a cui le forze di polizia del continente danno la caccia.
Si presume che l’indagata attualmente risieda in Serbia. Un quotidiano locale, “Blic”, nei mesi scorsi ha riferito che la ricercata si troverebbe nei pressi di Belgrado, a Surčin. Sarebbe stata lei stessa a rivelarlo: la trentottenne avrebbe contattato la redazione dopo la pubblicazione di un articolo sui ricercati dell’Europol.
La donna, in un breve colloquio telefonico, avrebbe detto ai giornalisti di non aver preso parte all’omicidio di Carli. «Sono solo una testimone», così si sarebbe espressa, annunciando poi l’intenzione di venire in redazione o da un giornalista e raccontare tutto. Ma il giorno successivo alla telefonata la donna avrebbe disdetto l’incontro sostenendo di aver la necessità di «andare dal dottore perché ho un tumore alla ghiandola pituitaria, ho bisogno di vedere un medico».
Cosa c’è di vero? Difficile dirlo. Fonti investigative italiane confermano però che la donna al momento risiede effettivamente in Serbia. Ma il Paese si rifiuta di estradarla. Il niet era arrivato in Procura, a Trieste, nell’estate scorsa.
Per nascondersi Petrović usa diverse identità. Recentemente avrebbe pubblicato un nuovo profilo Facebook.
Gli investigatori della Mobile, nelle indagini dirette dal pm Federico Frezza, dopo l’omicidio erano riusciti subito catturare la quarantottenne Ljubica Kostić, l’unica componente della banda a essere finita nelle mani della giustizia italiana. La donna è stata incarcerata, processata e condannata a 12 anni. La Mobile si era anche messa sulle tracce degli altri criminali che avevano preso parte al delitto: Dusan Pejčić (mai individuato) e un ex poliziotto, Milan Pesić (già detenuto in Serbia per altre ragioni). —
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