Decisionismo e anima democristiana

Non vi sono dubbi il nostro Primo ministro vive un momento di difficoltà: aveva promesso che la soluzione italiana per Alitalia sarebbe andata in porto e si trova invece alle prese con le - non del tutto preventivate - resistenze della Cgil e soprattutto del compattissimo sindacato dei piloti. Tutto ciò insieme ad alcune perplessità che affiorano nella cordata di imprenditori rischia di portare la compagnia al fallimento.


Al fallimento e quindi alla cassa integrazione per i lavoratori, al blocco dei voli e degli aeroporti (i dipendenti Alitalia a quel punto non resteranno con le mani in mano), al caos insomma. E il caos Berlusconi non lo sopporta, perché indipendentemente dalle ragioni e dai torti, il caos significa ingovernabilità, immagine incrinata e inevitabile calo dei consensi. Come è potuto accadere? Perché Silvio nella fretta di ”fare” non ha dato il giusto peso all'anima: intendiamo dire la complessa anima del proprio elettorato e in buona misura anche del resto del popolo italiano. Vediamo di cosa si tratta.


Gli italiani dunque - e in misura molto più accentuata gli elettori di centro-destra - da Berlusconi volevano due cose: in primo luogo che governasse da ”democristiano”, che non fosse invasivo, che lasciasse le cose come stanno, che non turbasse l'oliata redistribuzione della spesa pubblica, che non desse fastidio alle varie corporazioni, che facesse vivere e lasciasse vivere; in secondo luogo - soprattutto nel laboriosissimo nord dove si annidano gli animal spirits della repubblica - ci si attendeva che mettesse le cose a posto, che lanciasse i Brunetta, i Maroni, le Gelmini, i Tremonti, che mettesse mano alla sicurezza, all'economia, che raddrizzasse quanto possibile il franante sistema pubblico italiano, che tenesse a bada la minaccia alle identità profonde del paese.


A guardarle da vicino entrambe le cose rinviavano e rinviano ad un profondo bisogno di protezione: da un lato il vecchio caldo mondo di ieri, dall'altro una riverniciatura all'italiana di un approccio decisionista che abbiamo visto usare con successo nei paesi anglosassoni (partendo dalla Thatcher e finendo con Blair). Purtroppo le due cose non riescono a stare assieme, o meglio tengono finché i nemici sono gli altri o sono costituzionalmente deboli (si chiamino immigrati, precari della scuola, fannulloni vari, prostitute, etc); non tengono più quando ci si scontra con le strutturate corporazioni italiane: ieri i tassisti e i camionisti, oggi gli assistenti di volo e piloti, domani magari le forze dell'ordine, o ancora i magistrati, i professori universitari, etc.


Con questi non si scherza perché costituiscono le dorsali forti del paese, posseggono gli scrigni della professionalità, del potere di veto (possono mandare il paese nel caos) della continuità dello stato. Nella vicenda Alitalia il premier è andato a sbattere contro di questi e paradossalmente ora la doppia anima del suo elettorato è in subbuglio: l'anima democristiana aliena dal conflitto e incline alla permanente mediazione guarda alla vicenda Alitalia con vago timore chiedendosi se magari domani non possa capitare a lei di venire ”esuberata”; l'anima decisionista sogna efficienza, conti in ordine, azioni esemplari alla Margaret Thatcher.


Il povero premier si trova nei guai e non basta a consolarlo il fatto che l'opposizione boccheggia ripetendo come un disco rotto che bisognava vendere ad Air France - quasi che la Cgil qualche responsabilità non l'abbia avuta nella mancata vendita ai francesi. No, non basta perché Silvio intuisce di essere arrivato a un’ inattesa dissociazione: non può dare ascolto all'anima mediativa e democristiana - non ci sono più le risorse economiche di un tempo e gli imprenditori sono lì per guadagnare - mentre invece se pigia sull'acceleratore del decisionismo rischia di entrare in una sorta di Vietnam, piccolo ma pericolosissimo per la sua immagine. Insomma, un vero guaio e tutto per una promessa elettorale sbagliata.

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