Decessi sospetti alla “Primula”, l’esito dell’autopsia riapre il caso: impossibile stabilire se gli anziani sono morti per Covid
TRIESTE. Non è possibile attribuire un nesso «causale» tra l’infezione e il decesso. Le persone sono morte “con” il Covid, ma non “per” il Covid. Dicono questo, in buona sostanza, le autopsie sui corpi di sette anziani, tutti con patologie pregresse e non autosufficienti, ospiti della casa di riposo “La Primula” di via Molino a Vento. Erano spirati durante la prima ondata pandemica. E la Procura aveva aperto un’indagine per omicidio colposo. Discorso analogo per un malato oncologico di sessantasei anni, inquilino dello stesso condominio in cui si trova La Primula, risultato positivo al coronavirus e deceduto in quello stesso periodo, dunque ad aprile.
La Procura aveva voluto vederci chiaro su tutti questi otto casi di morti sospette. Il pm Matteo Tripani aveva quindi indagato la legale rappresentante della struttura, Patrizia Malusà, e i figli Matteo e Michele Spangaro in qualità di amministratori della Primula. Sono difesi dall’avvocato Giovanni Borgna.
L’indagine, che ha reso necessario riesumare i corpi e procedere con le autopsie, era stata preceduta anche da un intervento dei Nas nella casa di riposo. Gli accertamenti erano scattati dopo la scoperta che tutti i 36 anziani ospiti della residenza polifunzionale risultavano infettati dal Sars-CoV-2. Dopo il sopralluogo dei carabinieri era stato il figlio di un anziano deceduto a innescare le indagini. Il parente, presentando un esposto attraverso l’avvocato Antonio Santoro, aveva chiesto verifiche su quanto era accaduto nella struttura in cui era assistito il padre.
I dubbi, dinnanzi a un contagio così esteso, in effetti non mancavano: gli anziani (e anche gli operatori) erano stati protetti dal rischio contagio? Il personale era provvisto dei Dpi (guanti, mascherine, tute)? La struttura era stata sanificata? E, ancora, erano state rispettate le procedure di isolamento per chi presentava i sintomi e le distanze di sicurezza tra gli ospiti? Le famiglie si erano affidate agli avvocati Santoro e Roberto Corbo.
Il pm, nel frattempo, aveva affidato l’incarico per l’esame autoptico sulle salme a un pool di medici. Gli specialisti hanno sottoposto a più tamponi ciascun corpo (nasofaringeo, orofaringeo, tracheale, bronchiale destro e sinistro, rettale). Ci sono casi in cui è stata riscontrata la positività in tutti i test; in altri solo alcuni.
Gli anziani, dunque, al momento del decesso avevano il Covid. Ma non è certo che sia stata l’infezione a determinare il decesso. Lo dicono con chiarezza le conclusioni. Testualmente: «In nessun caso è possibile stabilire l’epoca di insorgenza del virus – si legge negli atti – è tuttavia possibile affermare l’attualità del processo infettivo al momento della morte». E, ancora: «In nessuno dei casi esaminati è possibile attribuire con elevata probabilità logica e scientifica un ruolo causale o concausale nel determinare il decesso».
Potrebbe dunque cadere l’omicidio colposo. Ma, se fosse accertato che nelle struttura non venivano rispettati i protocolli sanitari, potrebbe subentrare l’ipotesi di reato di lesioni colpose. L’avvocato Santoro attende un quadro completo: «Potrò valutare solo al momento della chiusura delle indagini se ci saranno i presupposti per azioni giudiziarie volte ad ottenere il risarcimento danni per i miei clienti».
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