Dazi contro la Serbia, pressing di Trump sul Kosovo. Traballa il governo

Il primo ministro Haradinaj non molla, a vuoto un incontro con l’ambasciatore Usa. Ma presidente e alleati lo isolano

BELGRADO Il premier kosovaro Ramush Haradinaj non molla. Nonostante le pressioni da parte del presidente del Parlamento e leader del Partito democratico (alleato di governo) Kadri Veseli e del capo dello Stato Hashim Thaci, ieri dopo un incontro a Pristina con l'ambasciatore americano Philip Kosnett, unitamente a Thaci e a Veseli, Haradinaj ha ribadito il suo no all'abolizione dei dazi doganali maggiorati del 100% sull'import da Serbia e Bosnia-Erzegovina. Si tratta, ha detto, di una «decisione sovrana del governo del Kosovo». Il premier, a causa dei contrasti che sul tema dazi esistono nel governo e tra lui, il presidente e Veseli non ha escluso una crisi di governo e elezioni anticipate.

«Tutto è possibile nei prossimi giorni e settimane», ha detto Haradinaj. «In primo luogo va data soluzione ad alcune cose importanti, come l'approvazione della legge di bilancio», ha aggiunto. Il premier, che è leader del partito Alleanza per il futuro del Kosovo, ha detto di essere favorevole alla prosecuzione del dialogo con Belgrado, ma senza che vengano poste condizioni.

«Sono interessato a raggiungere un accordo con la Serbia senza sottrazione di territori e senza la formazione di una Associazione delle comunità serbe in Kosovo», ha affermato Haradinaj che ha definito inaccettabili le richieste degli Usa per una abolizione dei dazi. «Non va bene che (l'ambasciatore americano) Kosnett ponga delle condizioni al Kosovo», ha detto aggiungendo che solo un accordo con la Serbia potrà risolvere tutti i problemi. Haradinaj non ha quindi escluso «sviluppi drammatici» in Kosovo nei prossimi giorni, compresa la caduta del suo governo e il voto anticipato.

A più riprese gli Usa hanno chiesto a Pristina l'abolizione dei dazi maggiorati del 100% sull'import serbo e bosniaco, per favorire una ripresa del dialogo congelato dalla Serbia in segno di protesta. Haradinaj, nonostante Washington gli abbia di recente negato il visto di ingresso negli Usa, ha più volte detto che i dazi saranno aboliti solo dopo il sì della Serbia all'indipendenza del Kosovo. Un muro contro muro che complica le prospettive di accordo fra Belgrado e Pristina auspicato dalla comunità internazionale.

Secondo gli analisti le sorti del Kosovo finiranno inesorabilmente a Washington, soprattutto se gli Stati Uniti a pressioni di tipo formale (leggi mancato visto d’ingresso a Haradinaj) faranno seguire conseguenze più concrete. Anche l’Unione europea dispone di notevoli forze di pressione, ma in Kosovo non gode di autorità alcuna. Haradinaj nei giorni scorsi ha anche chiesto una conferenza internazionale sul dissidio con la Serbia, precisando che non accetterà alcuna autonomia dei serbi nel Nord del Paese né alcuna modifica dei confini del Paese, sostenendo, tra l’altro, che al tavolo della mediazione non dovrà sedersi la Russia. Ma, a questo punto, sembra che il premier kosovaro abbia scarso margine a dettare condizioni assolute.

Sul piatto c’è poi il tema della libera circolazione in area Schengen con l’abolizione dei visti per i kosovari, tema molto sentito dalla popolazione e sposato anche da Veseli il quale, comunque, è convinto che solo con la trattativa si potrà giungere a un accordo mentre la politica dei dazi non porta a nulla. Di un compromesso e del dialogo ha anche parlato il presidente Thaci, spalleggiato dal ministro degli Esteri Behgjet Pacolli, in una lettera inviata al presidente Usa Donald Trump. Haradinaj, dunque, è sempre più solo e il suo governo sembra proprio giunto al capolinea.

E, sempre in tema di missive, è indicativa, per confermare l’assoluto isolamento del premier kosovaro, quella inviata dal presidente serbo Aleksandar Vučić sempre a Donald Trump il quale del tema Kosovo avrebbe parlato direttamente con il presidente russo Vladimir Putin. Nella lettera Vučić sottolinea come la Serbia sia disponibile al dialogo, ma non può accettare decisioni unilaterali di Pristina come quella sui dazi doganali maggiorati del 100%. —


 

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