Danica, Hermine e le altre Quando l’integrazione è donna

Junling ricorda il colpo di fulmine per il Caffè degli Specchi. E Irin non dimentica l’aiuto ricevuto dalla sua “mamma” triestina. La città vista da cinque migranti
Silvano Trieste 2018-03-14 Trieste e il Resto del Mondo: Storie Internazionali di Donne
Silvano Trieste 2018-03-14 Trieste e il Resto del Mondo: Storie Internazionali di Donne



Dalla Voivodina a Trieste il passo è breve: «Era tutta Austria-Ungheria», dice Danica Krstic. Altre arrivano da più lontano. «Nella mia città c’è l’esercito di terracotta, all’interno del mausoleo del primo imperatore Qin a Xi’an», racconta Junling Liu. Eliana Camacho ha toccato l’Italia con mano per la prima volta grazie alle nonne delle sue compagne di classe: «Furono quelle migranti italiane a portare la cultura del vino in Perù». Hermine Letonde Gbedo, da ragazza, ha lavorato assieme a donne già grandi come Assunta Signorelli e Pia Covre. Irin Parvin Khan ha imparato a rispondere «xé ben», quando le chiedono come sta.

Sono le protagoniste dell’incontro “Trieste e il resto del mondo: storie internazionali di donne”, svoltosi l’altro ieri a Palazzo Gopcevich alla presenza dell’assessore comunale alle Pari opportunità Serena Tonel. «Le donne sono tessitrici di convivenza, l’anello forte dell’integrazione, a partire dai piccoli gesti della vita quotidiana», ha detto la presidente della Consulta degli immigrati Milica Markovič, che ha organizzato l’evento assieme alla Casa internazionale delle donne.

Esordisce la mediatrice culturale Hermine: «Sono nata in Benin ma arrivo dal Camerun: ho lasciato il mio paese da piccolissima. L’Italia era nel cuore dei miei genitori: vi ero stata la prima volta da bambina. Vi ho fatto ritorno 27 anni fa, quando ne avevo 19, con un visto di studio. A mia mamma, che mi accompagnava, neanche quello era richiesto. È rimasta per un mese, poi è iniziata la mia scoperta della libertà, la sfida a imparare nuove abitudini, una nuova lingua». «Ho studiato dapprima a Perugia - continua -. Poi a Trieste, lettere, traduzione e interpretazione. Non è stata una città facile: all’epoca c’erano pochi stranieri, suscitavo domande. Poi l’incontro con Pia Covre e Assunta Signorelli: dedicavano la loro attenzione alle giovani donne vittime di tratta, che in seguito ho conosciuto anch’io. Quel senso civico è una ricchezza».

Prende la parola Junling: «Dopo il diploma, in Cina, ho iniziato a lavorare per una società statale. Finché nel 1996 ho raggiunto una parente a Venezia: volevo fare la turista. A Trieste, il Caffè degli specchi è stato il primo bar in cui ho messo piede: un colpo di fulmine. Ero stupita dalle signore eleganti con i cappelli sontuosi. Il mio primo lavoro invece è stato a Roma, come contabile di un negozio cinese». «Negli anni ho migliorato la lingua, anche se ogni tanto sbagliavo: in tabaccheria invece che una marca da bollo una volta ho ordinato un pollo - continua -. Mi son messa a fare l’agente di viaggio. Nel 2005 ho conosciuto un triestino: quell’estate mi sono innamorata con le passeggiate a Miramare. Finché è arrivata la bora: mi è venuta una nostalgia di Roma… ma alla fine ha vinto l’amore e ci siamo trasferiti a Staranzano. Era il 2006. Ho conseguito il diploma italiano alle scuole serali. Il giorno più felice della mia vita? Quello della mia laurea, nel 2012, con mio figlio in braccio».

Danica, storica dell’arte e guida turistica, è approdata nel capoluogo giuliano nel 2004 «per frequentare un corso di lingua - racconta -. Galeotto fu il dizionario d’italiano: un ragazzo, originario della mia città, me ne prestò uno. Ci siamo innamorati, così dopo la laurea a Belgrado sono tornata a Trieste, dove mi sono specializzata. Non avevo la necessità di lasciare il mio paese: hanno avuto un ruolo il caso e l’amore, per un uomo e per lo studio. C’è stato qualche intoppo legato al permesso di soggiorno. Alla fine ci siamo sposati: sono contenta che sia accaduto nella bella cornice di piazza Unità». Danica ha curato diverse mostre d’arte per la Comunità serbo-ortodossa cittadina ed è stata delegata per l’Italia dell’assemblea della diaspora dei serbi. «Per tutti gli jugoslavi Trieste è un mito: avete visto il documentario di Alessio Bozzer. Nell’anima di questa città c’è il vedere il diverso come amico. Mi sento triestina e ho imparato a essere anche italiana».

Irin Parvin, al contrario, nel 2005 dal Bangladesh è dovuta fuggire, per ragioni politiche. Oggi è la titolare dell’alimentari di via Torrebianca, Currymix: sapori del mondo. «Sono partita con mio figlio piccolo, lasciando le altre a Dacca: davo per scontato che avrei dormito nelle stazioni, non potevo portare con me le ragazze. Pensavo sarebbe stato facile trovare una casa e un lavoro. Il mondo è mio, pensano tutti: ho capito che non era così. Abbiamo dormito in un Cpt a Foggia, in una camera con altre dieci persone. Abbiamo fatto la fila per avere il cibo necessario a sopravvivere». «Una donna del Camerun è diventata una grande amica mia. Mi ha consigliato di andare al Nord, mi ha dato il numero dell’Ics di Trieste - continua . Mi ha risposto la signora Helga: mi ha mandato i soldi per il viaggio ed è venuta a prenderci in stazione. Ancora oggi la chiamiamo mamma. Un’altra amica, senegalese, mi ha consigliato di candidarmii sul Mercatino, scrivendo che so cucinare. Ho trovato lavoro al primo annuncio. Le donne seminano nel mondo amore e fiducia per cambiarlo».

Elena è arrivata nel 1992 dal Sudamerica. «La mia storia di straniera è stata facile: ho vinto una borsa di studio al Centro di fisica teorica di Trieste. Mi sono venuti a prendere in aeroporto e mi hanno portata in albergo. Il mondo della scienza non ha colore: lavoriamo tutti allo stesso obiettivo. Le piccole differenze si vedono in pausa pranzo, quando ognuno sta attento a non offendere il galateo dell’altro. Ho scelto la strada dell’insegnamento in vari luoghi».

«Oggi lavoro al centro di formazione professionale delle suore salesiane di via dell’Istria - conclude -. La formazione professionale spesso viene vista come la sorella minore dell’istruzione superiore. Non è così. “Perché insegni qui, non sei sprecata?”, mi ha chiesto un’allieva. “Perché pensi di non meritarti un’insegnante con il mio curriculum?”, le ho risposto».

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