Dall'emergenza sanitaria a quella economica: torna lo spettro della grande recessione
BELGRADO. Non solo emergenza sanitaria, anche una crisi economica di dimensioni mai viste. È quella che rischia di abbattersi, causa coronavirus, pure sui vicini Balcani e sull’Europa centro-orientale. A meno di sorprese la Slovenia (vicina ai 500 contagiati) corre verso la recessione. Lo ha previsto l’Istituto governativo per l’analisi macroeconomica e lo sviluppo (Imad), che due settimane fa aveva ribassato all’1,5% il tasso di crescita per Lubiana nel 2020.
Ma la situazione, si è poi corretto l’Imad, «è cambiata considerevolmente» in peggio. Anche immaginando che «l’attuale situazione» «duri due mesi» e non oltre, «possiamo attenderci un calo del Pil superiore al 5%» per il 2020, ha anticipato l’istituto calcolando tra il 6 e l'8% la potenziale contrazione della crescita in Slovenia. Potrebbe andare anche peggio se l’emergenza durasse più a lungo, investendo in particolare industria, trasporti, commercio e soprattutto turismo, per l’Imad. Non sorprende che ieri il governo Janša abbia varato un pacchetto “anti-coronavirus” da 2 miliardi di euro per sostegno a imprese, lavoratori e pensionati, «il maggiore» della storia slovena, ha detto l’economista Matej Lahovnik, numero 1 dell’unità di esperti che consiglia l’esecutivo sui temi economici.
Previsioni fosche anche in Croazia (quasi 400 i contagi): esperti della Raiffeisen hanno pronosticato un calo del -4,8% del Pil quest’anno, in particolare per l’impatto della pandemia su turismo e industria, soprattutto quella che ha legami di export con economie forti della Ue, «specialmente Italia e Germania», senza dimenticare il sisma di domenica. «Dobbiamo prepararci a una difficile e lunga battaglia per l’economia e i posti di lavoro», ha detto ieri il premier Andrej Plenković annunciando un nuovo pacchetto-salva imprese simile a quello sloveno, che si aggiunge ai 3,9 miliardi già promessi. Cambieranno le cose anche in Serbia (303 casi), finora uno dei Paesi dell’area con la crescita economica più sostenuta. Quest’anno si prospetta un -2% di Pil (rispetto al +4% delle stime pre-pandemia), e Belgrado pianifica di immettere nel sistema economico 2,5 miliardi di euro per le imprese, ha anticipato il presidente Aleksandar Vučić.
Ma per tutti i Balcani e l’Est in genere si prevedono mesi difficili. In Romania, dove sospendono i lavori Dacia e Ford, si teme un milione di posti di lavoro in meno. Raiffeisen prevede un -2,5% in media per i Balcani. Corroborano il quadro altri studi autorevoli prodotti da analisti di Ing ed Erste Bank, ma soprattutto da quelli del Vienna Institute for International Economic Studies (Wiiw), che una decina di giorni fa aveva anticipato uno «scenario grave» per tutto l’Est. Wiiw aveva parlato di crescita media nell’area dell’1,1% invece del 3,1% già stimato, con ricadute particolarmente forti per Polonia, Serbia e Bosnia ma minaccia incombente anche su Croazia, Slovenia, Albania e Montenegro, che «rischiano di essere colpiti duramente» per la dipendenza dal turismo.
Quello scenario «della scorsa settimana era già ottimistico» e il quadro ora rischia di farsi ancora più cupo, con «recessione» generale, puntualizza ora il direttore del Wiiw, Mario Holzner. L’Est potrebbe essere alla vigilia di «un calo peggiore del 5,1% del 2009», ai tempi della crisi. E i Balcani occidentali, dice l’esperto, a scenari ancora più foschi: la regione è «particolarmente vulnerabile per sistemi sociali e sanitari deboli e per minore accesso ai fondi Ue, oltre che per la delicata struttura d’età» della popolazione. E i Balcani potrebbero aver bisogno a breve di «misure di isolamento più severe, che potrebbero far ancor più male all’economia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo