Dalle prime barche a remi all’impresa Ursus, gli ormeggiatori festeggiano i cent’anni
Data 13 maggio 1919 la fondazione della coop di settore più vecchia d’Italia. Per l’occasione i 29 soci attuali lanciano una colletta per l’Agmen
TRIESTE Sono gli eredi di quei loro leggendari colleghi che, un secolo fa, per raggiungere le navi da ormeggiare in porto, lasciavano le Rive a forza di remi, anche se c’erano la bora ad accentuare le difficoltà e la fatica o il freddo a indurire le mani. Sono i 29 componenti della Cooperativa Ormeggiatori di Trieste che, oggi, in perfetta corrispondenza con la data della costituzione del gruppo, celebreranno i primi cent’anni di vita di una struttura, di un’equipe che può vantarsi, e con pieno diritto, di essere la più vecchia d’Italia.
Era infatti il 13 maggio del 1919 quando, proseguendo l’attività di una società nata sotto l’impero asburgico, gli ormeggiatori di Trieste fondarono quella che ancor oggi è una componente essenziale e insostituibile delle professionalità di supporto ai traffici nello scalo locale, la Cooperativa Ormeggiatori appunto.
Per far funzionare un porto servono tre elementi: i piloti, che guidano le navi fino alla banchina, i rimorchiatori, che le trainano negli ultimi metri, e gli ormeggiatori, che curano l’attracco. «Un secolo fa – spiega il presidente della Cooperativa di Trieste Giorgio Regolin – il traffico nel porto di Trieste era considerevole, erano molte le unità che arrivavano e che partivano. Per questo nacque la Cooperativa». Che fu, in realtà, come si diceva, la prosecutrice di un’attività che era già fondamentale da due secoli, cioè da quando, nel 1719, Trieste era diventata Porto franco, in virtù di un provvedimento che aveva dato l’avvio a un incremento di traffici che avrebbe trasformato la città intera.
«Il servizio di ormeggio – precisa Gregolin – è obbligatorio per legge per tutte le navi che superano le 500 tonnellate, ma lo possono chiedere anche quelle di stazza inferiore». Per questo, il lavoro degli ormeggiatori non conosce soste: 24 ore al giorno, per 365 giorni all’anno, i terminali della sede di molo fratelli Bandiera sono sempre attivi, in qualsiasi momento bisogna essere pronti a muovere. Perché non c’è solo il servizio tradizionale. Ci possono essere richieste specifiche e urgenti, come quelle di soccorrere natanti: la Cooperativa in questi casi funziona come una sorta di “Aci del mare”.
Per tutti questi motivi, gli ormeggiatori operano sotto il coordinamento della Capitaneria di porto di Trieste. «E per fare l’ormeggiatore – riprende Regolin - bisogna fare un concorso pubblico, un esame che si può superare solo dopo che si sono completati 24 mesi cosiddetti “di coperta”, cioè svolgendo il servizio militare in Marina o in aziende private». Insomma, quello dell’ormeggiatore è un mestiere difficile e impegnativo. E in occasione dei 100 anni di attività, i componenti della Cooperativa triestina hanno dimostrato di possedere anche una dote rara: la generosità.
«Abbiamo deciso di rinunciare a medaglie celebrative, targhe, diplomi o altre cose del genere – dicono in coro – e devolveremo invece una somma raccolta fra di noi all’Agmen. E con noi, a raccogliere una cifra che possa essere la più alta possibile, ci saranno i nostri colleghi di Monfalcone e tutti i piloti di Trieste e Monfalcone, che ringraziamo di cuore per la disponibilità».
Nel libro dei ricordi, inevitabili gli episodi da incorniciare: il recupero dell’Ursus, quando, spinto dalla bora, ruppe gli ormeggi e cominciò a muoversi incontrollato nelle acque del golfo, oppure l’intervento a bordo del ro-ro turco Lund Adriatik, che aveva preso fuoco in rada.
Oggi la Cooperativa ormeggiatori fa parte dell’associazione nazionale di categoria, l’Angopi, che raccoglie al suo interno un migliaio di ormeggiatori che fanno parte di 65 gruppi. «E noi siamo orgogliosi – conclude Regolin – di essere la cooperativa che per prima si è costituita nell’ambito del nostro Paese».—
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