Dalle autobombe ai casi Regeni e Zaki: quello strano asse anti-italiano al Cairo

ROMA Fare fuori l’Italia dall’Egitto. Comincia a farsi strada in ambienti di governo la convinzione che il brutale assassinio di Giulio Regeni sia il tassello finale di un mosaico più ampio finalizzato a colpire il nostro Paese nei suoi interessi più vivi, per indebolire e sporcare la sua tradizionale presenza nel Mediterraneo, e allontanare sempre di più il giorno in cui sarà possibile parlare di normalizzazione dei rapporti. Molto si deve alle 9 pagine di ricostruzione delle violenze che sono state inflitte al giovane ricercatore, e che costituiscono una parte centrale dell’inchiesta della Procura di Roma. Dettagli che non lasciano dubbi – posto che qualcuno li abbia mai coltivati – sul fatto che si sia trattato di un’operazione politica, dalle modalità del rapimento alle torture, fino alle circostanze del ritrovamento, da parte di un pulmino sulla statale per Alessandria, non lontano da un centro di interrogatori dell’intelligence militare, nelle stesse ore in cui l’ambasciatore italiano è a cena con l’allora ministra dello sviluppo economico Federica Guidi, in visita al Cairo con una delegazione di imprenditori italiani.
Per capire come siano i rapporti economici tra Italia ed Egitto a essere colpiti duramente bisogna tornare al 2015, anno chiave e turning point dopo il quale molte cose non torneranno più come prima. Il 2015 è stato infatti un anno d’oro per le compagnie petrolifere italiane: nella tarda primavera diventa chiaro che Eni sta finalizzando la più grande scoperta di gas mai fatta in Egitto, e ad agosto arriva l’annuncio ufficiale da parte del gruppo. «Il giacimento di Zhor – si leggeva nella nota ufficiale – può avere un potenziale fino a 850 miliardi di metri cubi di gas e rappresentare una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale, situata in un permesso detenuto da Eni al 100%». Contestualmente, altre compagnie petrolifere ed energetiche si trovavano costrette a tagliare investimenti; la francese Total, a causa di una flessione generale dei prezzi (scesi per il petrolio al di sotto dei 40 dollari al barile), vende le proprie attività di gas nel Mare del Nord e avvia una strategia di contenimento dei costi, e anche Chevron sceglie di ritardare o cancellare mega-progetti che richiedono impegni economici ingenti.
Per gli italiani invece le cose vanno bene, anche l’interscambio commerciale registra cifre importanti: il saldo finale supera i 900 milioni di euro, siamo il sesto Paese fornitore dell’Egitto, e deteniamo una quota del 4,4% del mercato complessivo. Oggi i dati dell’osservatorio economico del Mise registrano tra gennaio e aprile 2019 un interscambio fermo a 27 milioni di euro, e uno scivolamento di sei posti nella classifica dei Paesi fornitori (attualmente siamo dodicesimi, e la quota di mercato è del 2,7). A metà luglio 2015, però, un’autobomba esplode davanti al consolato italiano: gli uffici sono fortunatamente chiusi, si evita la strage, tra le vittime solo un malcapitato ambulante egiziano che si trovava nella zona dell’esplosione. I presunti autori dell’attentato, legati al gruppo estremista Ansar beit el Maqdes, sono subito arrestati. In quell’occasione la macchina della giustizia egiziana si mostrò curiosamente efficiente, perché nel settembre successivo mise a segno un ulteriore blitz e dopo una lunga e intensa sparatoria comunicò di aver ucciso nove terroristi islamici, indicandoli come altri (ulteriori?) responsabili dell’attentato al consolato italiano. Come in tutte le azioni militari del governo del presidente egiziano Al-Sisi, non ci furono neanche in quel caso verifiche indipendenti, le voci su chi fossero davvero i terroristi colpiti si rincorsero per qualche giorno, fino a silenziarsi.
Tra fine gennaio e inizio febbraio, l’omicidio Regeni, con tutte le sue avvelenate conseguenze. E il caso di Patrick Zaki, legato all’Italia dagl studi, che continua a restare in carcere malgrado i numerosi appelli delle nostre autorità. In questi anni, la presenza dell’Italia in Egitto si è progressivamente assottigliata, e l’eccezione costituita dai grandi gruppi non può far perdere di vista il generale indebolimento del “sistema Paese” nell’area, a fronte di una Francia, ad esempio, che ha annunciato un aumento del volume degli scambi con l’Egitto, quantificato a settembre 2020 in 1,6 miliardi di dollari. Abbastanza per spiegare il trattamento riservato dall’Eliseo al presidente egiziano Al Sisi, e per augurarsi che al più presto, in sede Ue, sia possibile scoprire le carte su chi ha davvero a cuore la salvaguardia dei diritti umani e chi no. –
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