«Dalla Somalia ai miei quattro “muli”»

Ahmed Faghi Elmi, tre maschi e una femmina, racconta la sua famiglia numerosa e la sua integrazione

TRIESTE. L’integrazione possibile, a Trieste, ha un volto e un nome. È quello del somalo Ahmed Faghi Elmi e della sua famiglia. Una laurea in Scienze politiche, una buona posizione lavorativa e, soprattutto, quatto figli a carico. Faghi, 48 anni, oggi è dipendente del patronato Inas-Cisl e nel capoluogo presiede l’Anolf, associazione nazionale Oltre le frontiere. È lui che a Trieste ha fondato la comunità somala.

Se il tasso di natalità consegna dati incoraggianti forse si deve ad esempi come il suo. È approdato a Trieste con il sogno di studiare Medicina, nel 1988, un soffio prima dello scoppio della guerra civile. Ha fatto di tutto, Ahmed: il lavapiatti, l’infermiere in casa di riposo, il mediatore culturale. «Mi sono arrangiato. Andavo dove c’era lavoro, ho fatto sacrifici enormi».

A caccia di un posto pur che sia. «Il fatto è che senza un mestiere non mantieni una famiglia, i servizi sociali non bastano. Non puoi vivere di elemosina». Integrazione, certo, che per lui ha significato sudore. «Cosa dai ai figli? Come li fai mangiare? Come li fai studiare?». Già. «Sono arrivato a Trieste con il desiderio di fare Medicina che poi, a causa di vari problemi, ho dovuto lasciare». Per lavorare non poteva seguire i corsi, c’è l’obbligo di frequenza, e ha deciso di passare a Scienze politiche. «Il mio desiderio era diventare dottore e ritornare in Somalia, ma ora sento l’Italia e Trieste come casa mia».

Ha tre maschi e una femmina. Il primo figlio, ora diciottenne, lo ha avuto nel ’98 a 30 anni; nel 2001 e nel 2002 altri due e poi, nel 2010, l’ultimo. «Non è facile avere bambini qua - osserva Ahmed - la vita costa molto e non è semplice ricevere sostegno. E se lavori devi pensare a chi ti tiene i bambini. Se li tiene la moglie, non può trovare un impiego». I problemi di tutti. «In Somalia è diverso - spiega - li puoi lasciare ai vicini, c’è tutto il quartiere che ti aiuta».

Ahmed ha trovato il tempo di tuffarsi nel mondo dell’associazionismo e di fondare la comunità somala per aiutare i connazionali e tutte le persone immigrate. «La nostra cultura di origine rischia di perdersi». Il posto nel patronato Inas-Cisl gli consente di avere un osservatorio privilegiato su come funziona il welfare, le pensioni, la maternità e altro. Tanto per la popolazione immigrata, tanto per i triestini. «Io non posso lamentarmi, ho trovato una buona integrazione, ma nei primi anni non avevo nessuno. Mi sentivo solo, avevo la famiglia lontana e piangevo. Ma Trieste è stata accogliente e io ho saputo inserirmi».

Il suo vantaggio di partenza è stato quello di masticare un po’ d’italiano. «In Somalia, in quanto ex colonia, l’avevo studiato». Ahmed dice che oggi, rispetto a quando ha cominciato lui, è più facile fare figli: «Ci sono il bonus bebè, la social card o i contributi per pagare le bollette che prima non esistevano o, se sì, in misura minore». (g.s.)

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