Dalla Slovenia alla Romania, così il Covid attacca anche la salute delle democrazie

La denuncia di varie organizzazioni internazionali: emergenza sfruttata per consolidare il controllo sulle società 
Di passaggio davanti a una vetrina a Bucarest, in Romania
Di passaggio davanti a una vetrina a Bucarest, in Romania

Non solo moltissimi i contagiati, i malati ricoverati, i deceduti. Ci sono anche altre “vittime” del Covid. Rispondono al nome di stato di diritto e democrazia, concetti e sistemi di governo messi in ginocchio non tanto dalla pandemia quanto dalle mosse di chi è al potere, pronto a sfruttare l’emergenza per rafforzare il controllo sulle società. Accade anche nell’Europa centro-orientale e nei Balcani, non solo in ampie parti dell’Africa, negli Usa o in Sudamerica.

È questa la denuncia lanciata da vari studi di autorevoli organizzazioni, che hanno cercato di capire quanto sia stata erosa la democrazia al tempo del Covid a livello globale. Fra queste c’è la svedese International Institute for Democracy and Electoral Assistance (Idea), che ha spedito dietro la lavagna anche Paesi come l’Ungheria di Viktor Orbán, che giusto l’altro ieri ha messo fuorilegge le adozioni per le coppie gay. E che dalla scorsa primavera ha esautorato il Parlamento proclamando uno stato d’emergenza di fatto permanente, minacciando galera «per chi diffonde false informazioni», creando un sistema centralizzato di aggiornamento sul virus che «ostruisce il lavoro dei media», secondo Idea.

Ma le cose non vanno bene neppure nella Serbia di Aleksandar Vučić, dove «malgrado diffuse richieste di un rinvio» le autorità hanno premuto sull’acceleratore delle elezioni di giugno, poi «boicottate dall’opposizione» e sfociate in una vittoria bulgara per i Progressisti, «ma senza credibilità». La Serbia viene anche citata, assieme a Romania, Iraq, Brasile e Messico, tra i Paesi che «hanno ristretto l’accesso alle informazioni» sul Covid durante la pandemia. Ma quello di Belgrado non è un caso isolato: lo ha sostenuto pochi giorni fa l’European Council on Foreign Relations (Ecfr), che ha parlato di pandemia che «ha fatto ammalare le democrazie» nei Balcani ancora fuori dalla Ue, «accentuando vulnerabilità preesistenti». Vulnerabilità che hanno consentito a chi detiene il potere di sfruttare il momento, tra lockdown e controlli di massa, per introdurre anche misure pensate a volte «per silenziare critici e oppositori». E restrizioni anti-Covid adottate «in maniera incostituzionale e autoritaria» in gran parte della regione, ma in particolare in Serbia, in caduta libera anche sulla libertà di stampa.

Gli stessi Parlamenti soffrono per essere stati del tutto «marginalizzati» durante la pandemia, non solo a Budapest. Quello di Skopje ad esempio «non si è riunito dal 12 febbraio al 15 luglio»; e in Serbia, Albania, Bosnia i deputati si sarebbero limitati al ruolo di «passacarte», approvando senza spirito critico le decisioni dei governi. E il quadro è cupo anche in Romania, secondo la recente denuncia firmata da Greenpeace e da Civil Liberties Union for Europe, che hanno stigmatizzato il «divieto di assembramento per più di tre persone» introdotto in primavera, vero stop alle proteste di piazza. O i tentativi in Croazia, poi sventati dalla Consulta, di escludere dal voto i malati di Covid. O ancora, in Slovenia, le critiche rivolte dal premier Janez Janša alla Corte costituzionale, accusata di essere «politicizzata» solo per aver mosso rilievi sulla costituzionalità del divieto di assemblea. Segnali che in vari Paesi circola il morbo dell’autocrazia, combattuto da sempre più fiacchi anticorpi, secondo Freedom House: l’organizzazione americana ha segnalato che in 80 Paesi del mondo la democrazia è «diventata più debole» durante la pandemia. E la lista nera include Slovenia, Ungheria, Serbia, Bosnia e Kosovo. —


 

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