Dalla Slovenia alla Croazia effetto-domino sui confini
LUBIANA. «La Slovenia intende prendere provvedimenti che saranno proporzionati a quelli degli Stati a Nord della stessa Slovenia». A comunicarlo ufficialmente è il premier Miro Cerar, durante una conferenza stampa, parlando del tema dei migranti e dei provvedimenti che potrebbe adottare Lubiana. Cerar che ieri ha preso carta e calamaio e ha scritto una lettera aperta a tutti i Paesi Ue. Ma procediamo con ordine.
Il primo ministro sloveno è stato esplicito anche nell’intervista rilasciata al giornale tedesco Die Welt. «La situazione in Slovenia è tesa - ha detto Cerar - ogni giorno giungono da noi circa 4mila migranti e stiamo vivendo una sorta di domino: la Svezia e la Danimarca stanno differenziando tra migranti economici e richiedenti asilo che fuggono dalla guerra, anche la Germania diminuisce i numeri dell’accoglienza e non passerà molto tempo che anche l’Austria si allineerà a questo trend. E lo stesso dovrà fare anche la Slovenia visto che nel nostro piccolo Paese proprio non c’è posto per tutti».
Cerar ha parlato di effetto domino ed è stato buon profeta. Anche la Croazia, infatti, dopo l'insediamento del nuovo governo atteso per venerdì, è pronta a chiudere i propri confini per il transito dei migranti, se verrà confermata la decisione in questo senso di Slovenia e Austria. Lo ha annunciato Tomislav Karamarko, leader dell’Hdz, maggiore partito di centrodestra e probabile vicepremier nel nuovo governo croato di coalizione. «Si tratta di un effetto-domino - ha confermato - e l'Europa non potrà fare altro che prenderne atto», aggiungendo che la Croazia non è economicamente in grado di accogliere migliaia di profughi. «Non permetterò che la Croazia diventi un hot spot per i migranti», ha concluso il leader conservatore, che nei mesi scorsi, da capo dell'opposizione, è stato molto critico sulla politica delle frontiere aperte del premier socialdemocratico uscente Zoran Milanovic. Karamarko ha più volte elogiato il modello ungherese, invocando fili spinati e l'esercito al confine fra Croazia e Serbia.
Tornando in Slovenia c’è da sottolinerare che il ministro degli Interni, Vesna Györkös Žnidar ha ufficialmente bocciato l’idea che i poliziotti di Slovenia, Austria e Germania potessero controllare i confini con la Croazia. «Non è pensabile una cosa del genere - ha detto la Žnidar - perché così operando la Slovenia rischia di rimanere una sorta di tasca piena di migranti». Parlare poi di una sospensione di Schengen da parte della Slovenia è un vero e proprio non senso in quanto a Est è confine esterno proprio di Schengen e a Ovest c’è l’Italia da dove certo non arrivano migranti. E poi più di circondarsi di centinaia di chilometri di filo spinato che cosa le resta da fare?
Una situazione kafkiana quella di Lubiana ben nota anche al suo premier al quale non è rimasto che scrivere, come detto, una missiva a tutti i 27 partner europei, al presidente della Commissione Ue, al Consiglio europeo e a tutti i Paesi interessati dal flusso dei migranti provenienti dal Medio Oriente. Nella prima parte il premier sloveno ricorda la situazione sulla cosiddetta rotta balcanica e punta il dito sul fatto che nelle more di una soluzione europea al problema ciascuno Stato sta cercando soluzioni “private” che contribuiscono solo a rendere la situazione più confusa e a innescare inusuali momenti di tensione tra Paesi confinanti. Poi Cerar ribadisce quanto già detto dopo il recente summit a Berlino con la cancelliera tedesca Angela Merkel e cioè che la soluzione va cercata a Sud, ossia al confine tra Grecia e Turchia. Sempre nella lettera Cerar spiega di essere conscio delle grosse difficoltà socio-economiche in cui si dibatte Atene e per questo invoca un concreto e deciso intervento da parte dell’Unione europea, delle sue forze Frontex per dare appoggio alle autorità elleniche nel cercare di fermare il flusso alla sua “sorgente”. Stesso aiuto, secondo il premier sloveno, dovrà essere elargito anche alla Macedonia per fare in modo così di regolarizzare l’accesso all’Europa centrale a coloro i quali stanno realmente scappando dalla guerra e ai quali è doveroso garantire ospitalità.
Cerar chiede un intervento urgente alla Commissione europea perché vengano elaborati questi criteri comuni di ospitalità assieme a tutti i Paesi interessati dalla cosiddetta rotta balcanica, ossia che si stabilisca inequivocabilmente chi sono coloro i quali hanno diritto d’asilo in Europa. Intanto la Turchia si dice pronta a concedere ai profughi sul suo territorio una sorta di permesso di soggiorno lavorativo e questo per cercare di arginare la “fuga” verso l’Europa centrale, ma, contemporaneamente, il presidente della Grecia, Prokopis Pavlopulos afferma che Ankara dà il suo appoggio ai trafficanti di uomini lungo la rotta della migrazione.
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