Dalla pedalina ai robot la tipografia di famiglia trasformata per volare a colpi di etichette

TRIESTE. Un bel giorno, sapendo di dover fare scalo a Doha durante un viaggio, acquistò una tunica e scrisse una e-mail: “Egregi signori del Fondo sovrano del Qatar, sono Gabriele Russian, ho 28 anni e sono il titolare di una promettente azienda triestina: possiamo incontrarci? Volete investire su di noi?”. Le parole non erano proprio queste, ma il senso sì, e quella missiva elettronica non finì nel cestino, anzi: non arrivarono investimenti, ma una risposta puntuale sì, che già non è poco. «Ci ha fregato che tra i settori dei quali ci occupiamo ci sono gli spirits (gli alcolici)», dice ridendo Gabriele, che mostra orgoglioso la mail ricevuta dal colosso arabo, ancora conservata sulla sua casella di posta: «Mi hanno detto che non investono nel comparto degli alcolici e che trattano solo cifre importanti, diciamo dai cento milioni in su, ma io mi sarei accontentato anche di un milioncino...», racconta ancora il diretto interessato divertito.
Gabriele Russian è un ragazzo dalla genuina sfrontatezza. È il presidente dei giovani di Confartigianato ed è il più giovane tipografo di Trieste. Assieme alla mamma, Silvia Kuhar, pasionaria delle macchine da stampa dalla quale ha ereditato senza dubbio entusiasmo e fantasia, gestisce, nella zona industriale, in via Ressel, la UltraPixel, nata come tipografia e ora diventato il primo (e per adesso unico) etichettificio di Trieste.
Per la quasi totalità, la loro attività consiste, infatti, nella produzione di etichette da apporre ovunque: dalle bottiglie di vino e gin alle confezioni di prodotti da forno, ai flaconi di vetro per l’industria farmaceutica. «Sui prodotti delle aziende triestine nel 99 per cento dei casi c’è una nostra etichetta – spiegano i titolari – ma abbiamo molti clienti in tutta Italia, dal Trentino alla Sicilia, e alcuni anche in Austria, Slovenia e Croazia. Stiamo crescendo molto e, pur avendo competitor ben più grandi di noi in regione e nel resto del Paese, stiamo iniziando a farci strada ovunque», raccontano fieri madre e figlio.
La storia dell’azienda è un po’ la storia di un mondo, quello della stampa su carta, che negli anni ha perso terreno a favore dell’imperante digitale, ma che resiste e si reinventa continuamente per stare al passo coi tempi, con le esigenze delle persone e dell’economia, e con le nuove tecnologie. Dalla pedalina all’intelligenza artificiale: è una sintesi efficace del percorso fatto sin qui da questa impresa familiare, fondata nel 1964 da Silvio Kuhar, padre di Silvia e nonno di Gabriele, che avviò la sua tipografia con le prime macchine da stampa dell’epoca, che gli eredi hanno conservato ed esibiscono con orgoglio all’interno della ditta: una vecchia pedalina con caratteri mobili azionata a pedale, e la mitica linotype, la prima macchina per la composizione tipografica automatica.
«Mio padre è stato il primo a portare a Trieste la macchina per la stampa offset – precisa Silvia Kuhar –. È sempre stato un precursore, era un vero artigiano della stampa. Da qui usciva di tutto, libri, cartelloni, fascicoli, manifesti elettorali, anche dei giornali settimanali e mensili. Ai suoi tempi – continua – c’erano una cinquantina di tipografie in città, oggi ce ne sono 5 o 6: è un mondo profondamente cambiato dopo l’avvento delle stampanti da ufficio e l’online. Io, sin da ragazzina, ho iniziato a vivere appieno questo mondo fatto di macchinari e inchiostro, e sono entrata in azienda raccogliendo, un passo alla volta, le redini da mio padre – racconta commossa Silvia – che ci ha lasciati qualche tempo fa».
Nel 1995, davanti alla crisi della stampa tradizionale, la trovata per restare a galla: lanciarsi sul mercato delle etichette, un universo nuovo e del tutto ignoto per la famiglia. «Abbiamo acquistato una nuova macchina per stampare le etichette adesive su fogli stesi. Non avevamo clienti per questo prodotto, a Trieste non li aveva nessuno – spiega Silvia –, così a trent’anni ho preso la valigetta e ho iniziato ad andare in giro a fare pubblicità e cercare clienti, e ha funzionato, seppure con grande fatica. Ma siamo riusciti a inventare un nuovo capitolo, che ci ha permesso di arrivare sin qui».
Nel 2013, un nuovo importante passaggio: «Abbiamo cambiato il nome in UltraPixel ed è entrato in azienda, a soli 21 anni, mio figlio Gabriele, che ne rappresenta la naturale continuazione e che sta dimostrando passione e capacità straordinarie. Stiamo arrivando a risultati mai raggiunti finora: cresciamo del 20-30% all’anno e il fatturato si avvicina al milione di euro. Abbiamo acquistato macchine sofisticate. Per i primi due anni eravamo in tre, noi due e un collaboratore, mentre ora siamo in sei a lavorare qui e, grazie alle nuove tecnologie, è solo l’inizio di una nuova sfida».
Riproduzione riservata © Il Piccolo