Dalla Bosnia al Kosovo boicottata la cerimonia del Nobel a Handke, «l’amico di Milosević»
Quel premio non si sarebbe innanzitutto dovuto dare, a un intellettuale che non ebbe remore a difendere a spada tratta Slobodan Milošević e il suo regime e che avrebbe, secondo i tantissimi critici, relativizzato i crimini di Belgrado durante le ultime guerre jugoslave, ridimensionato il genocidio di Srebrenica, spacciato la Serbia come unica vittima. E visto che una marcia indietro non c’è stata, a Stoccolma, non rimaneva che una sola strada: quella del boicottaggio della cerimonia di premiazione, alla quale partecipano tutti gli ambasciatori accreditati in Svezia, davanti ai reali scandinavi.
Così la cerimonia per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura allo scrittore austriaco Peter Handke, consegnato ieri da re Carlo XVI Gustavo, è stata “sabotata” dalla maggior parte dei Paesi dell’ex Jugoslavia – Serbia esclusa - che hanno deciso di dare forfait al ricevimento all’Accademia di Svezia - dove era in programma la festa per i Nobel - in segno di ferma protesta. Così, se ieri il presidente serbo Aleksandar Vučić ha inviato al «caro amico» Handke un messaggio di felicitazioni, ad aprire la strada sul versante opposto ecco il Kosovo, con il ministro degli Esteri uscente, Behgjet Pacolli, che già sabato aveva informato di aver istruito l’ambasciatrice kosovara a Stoccolma di «boicottare l’evento in onore di Handke, amico e sostenitore delle politiche di Milošević».
«Mi aspetto che l’ambasciatore albanese si comporti allo stesso modo», aveva aggiunto Pacolli. E l’Albania non ha tradito le attese, rifiutandosi di onorare chi supportò «Milošević, il macellaio dei Balcani». Ma la protesta non è rimasta circoscritta a Pristina e a Tirana. Il ministero degli Esteri della Croazia «ha deciso di non inviare il suo ambasciatore in Svezia alla cerimonia», ha informato Zagabria. La ragione? Identica a quella degli altri colleghi balcanici. Handke non sarebbe altro che una «persona» che nei bui Anni Novanta si «impegnò per dare sostegno alla politica della Grande Serbia di Milošević» e per questo sarebbe indegno del prestigioso premio.
A Kosovo, Albania e Croazia si è subito dopo aggiunta la Bosnia-Erzegovina, con il presidente in carica nella presidenza tripartita, il bosniaco-croato Željko Komšić, che ha annunciato che Sarajevo non ha dato il permesso al suo rappresentante diplomatico di essere presente alla cerimonia. Sulla stessa linea, anche la Macedonia, ha annunciato il ministro degli Esteri Nikola Dimitrov.
Cinque Paesi balcanici che hanno ieri conquistato un potente, seppur assai scomodo alleato. Si tratta dell’uomo forte turco, il presidente Recep Tayyip Erdogan, che in un messaggio ufficiale ha affermato che «attribuire il premio Nobel per la Letteratura a un razzista che nega il genocidio in Bosnia e difende i criminali di guerra equivale a premiare le violazioni dei diritti umani».
Ma le proteste non sono solo diplomatiche. Mentre in Serbia sono in tanti a lodare e sostenere Handke, quasi 60 mila sono stati invece i firmatari di una petizione online per la revoca del premio ad Handke. A Sarajevo, sul megaschermo di un centro commerciale è comparso ieri un enorme video con la faccia dello scrittore, decine di teschi e la parola «vergognati». Sono intanto in numero sempre maggiore Ong e intellettuali schierati contro l’onorificenza, infinite le polemiche. E centinaia di indignados – tanti gli emigranti bosniaci - hanno manifestato con le Madri di Srebrenica ieri a Stoccolma, per chiedere ad Handke «di scusarsi con le vittime» del genocidio. —
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