Dal voto di Santin a Fatima A Monte Grisa 60 anni fa la posa della prima pietra

Chi, arrivando per la prima volta in città, alza lo sguardo e scorge questa costruzione eccentrica, certamente non può intuire la sua funzione, mentre per chi naviga costituisce una coordinata fondamentale, data la sua posizione predominante sul ciglione carsico.
In realtà è il Tempio nazionale di Maria Madre e Regina, il santuario profondamente voluto dal vescovo delle diocesi di Trieste e Capodistria Antonio Santin, del quale proprio il 19 settembre si celebrerà il 60.mo anniversario dalla posa della prima pietra. «L’origine di questo tempio – racconta padre Luigi Moro, rettore di Monte Grisa dal 2014 – è legata a due eventi che segnano la vita del vescovo. Il primo risale alla fine della seconda Guerra mondiale e nasce da un voto fatto da monsignor Santin per la salvezza di Trieste. Infatti la sera del 30 aprile 1945 la situazione sta precipitando: la città è occupata dai nazisti che minacciano di far saltare il porto e i titini sono alle porte. Ritiratosi in preghiera nella sua cappella, si rivolge alla Vergine per implorare pietà e salvezza per la città e il miracolo avviene: i tedeschi si ritirano senza provocare danni».
Il secondo è legato all’arrivo a Trieste dell’immagine della Madonna di Fatima, ultima tappa della Peregrinatio Mariae del 19 settembre 1959: «Proprio in quell’occasione viene posta la prima pietra e resa nota la volontà del Santo Padre Giovanni XXIII di intitolarlo a Maria Madre e Regina. Il vescovo di Leiria, nella cui diocesi si trova Fatima, conosciuta la destinazione del nuovo tempio in costruzione, offre una copia fedele della Madonna Pellegrina, messa al culto il 22 maggio 1966, giorno della sua inaugurazione: questo evento fu solennizzato da papa Paolo VI con un radio messaggio». Per la progettazione viene interpellato l’architetto Umberto Nordio, il quale propone al suo assistente Antonio Guacci di predisporre l’elaborato. Ne scaturisce un’opera di rottura con il passato sia per lo stile che per il tipo di materiale utilizzato: il cemento armato, in voga in quel momento, la fa da padrone e l’immobile rientra nell’espressionismo strutturale il cui principio ispiratore consiste nel lasciare in piena evidenza la compagine muraria senza alcun rivestimento: «Il tempio esprime i caratteri della bellezza classica, l’armonia delle proporzioni, il rispetto delle prospettive, l’espressione corretta delle simmetrie».
Guacci prese spunto da un sogno premonitore di Santin: la visione sull’altipiano carsico di un veliero a vele spiegate con la prua rivolta verso il mare. Tale raffigurazione trova riscontro nella parte inferiore del santuario, realizzata come se fosse la stiva di una nave, mentre la parte superiore rappresenta la coperta, con tre vele svettanti. Ma il tempio assume pure precise peculiarità: non solo un santuario votivo ma anche un memoriale, il cui termine è legato al ricordo dei circa130 mila soldati dispersi durante la Seconda guerra mondiale, denominati “Caduti senza croce”. «Auspico che in occasione del 60.mo della posa della prima pietra – conclude il rettore – numerosi siano i fedeli che vengano a riscoprire questo straordinario luogo a due passi dalla città».—
Riproduzione riservata © Il Piccolo