Dal pluralismo alle libertà civili: democrazie imperfette a Est
BELGRADO Sono nazioni già entrate da anni nella Ue, o che puntano ad aderirvi. Vi si tengono grandi discorsi su stato di diritto, riforme, modernizzazione. Ma la realtà è che negli ultimi 13 anni lo stato di salute delle democrazie balcaniche e di molte di Paesi dell’Europa centro-orientale ha vissuto un declino costante e drammatico, trasformando la regione in un coacervo di «democrazie imperfette» o di «regimi ibridi», un pericoloso miscuglio di liberalismo e autoritarismo, intossicato da sempre alti livelli di corruzione.
A rivelarlo sono due rapporti pubblicati in questi giorni, che aiutano a tracciare un quadro preciso della situazione nei Balcani e a Est. Quadro che è pessimistico sul fronte delle condizioni di salute della democrazia, secondo il nuovo Democracy Index 2019 sviluppato dall’Intelligence Unit dell’Economist. Indice che ogni anno, dal 2006, dà un voto in democrazia da zero (il minimo, tipico di un regime autoritario a tutti gli effetti) a dieci (il massimo, riservato alle democrazie sane e compiute) a tutti i Paesi del globo, in base a parametri come pluralismo e processi elettorali, funzionamento del governo, partecipazione politica, libertà civili.
Nella regione balcanica e Est, negli ultimi 13 anni, le cose sono peggiorate radicalmente, si evince dallo studio. Lo sono ad esempio in Bosnia-Erzegovina, precipitata dai già bassi 5,78 punti del 2006 ai 4,86 dell’anno scorso; ma anche in Croazia - che è già partner dell’Ue - passata da 7,04 a 6,57. La democrazia soffre anche nel Montenegro (in pole per l’adesione all’Ue) sceso dai 6,57 punti del 2006 ai 5,65 attuali e pure in Serbia, da 6,62 a 6,41. La Macedonia del Nord è scivolata da 6,33 a 5,97 in poco più di un decennio; l’Albania veleggia stabile a 5,89, con un modestissimo miglioramento di 0,02 punti in 13 anni. Nemmeno la Slovenia può sorridere del tutto, malgrado il voto 7,50 del 2019 (l’Italia è a 7,52), ridimensionato rispetto al giudizio sulla democrazia slovena che esprimeva un 7,96 nel 2006.
A colpire è anche il crollo degli standard democratici nei più importanti Paesi dell’Europa centro-orientale, già tutti membri Ue, come la Romania (da 7,06 nel 2006 a 6,49 nel 2019), l’Ungheria di Viktor Orbán (da 7,53 a 6,63) e la Polonia del suo “alter ego” Jaroslaw Kaczynski (da 7,30 a 6,62). L’Europa orientale oggi «ha un punteggio medio di 5,42, ben al di sotto del 5,76 in media del 2006», ha segnalato l’Eiu: numeri che segnalano come «il malessere democratico» dell’Est «persiste, tra debole cultura politica, difficoltà nel salvaguardare lo stato di diritto, corruzione endemiche e rigetto in alcuni paesi dei valori liberali», a cui si preferiscono «uomini forti». E nel 2019, a 15 anni dal maxi-allargamento Ue del 2014 e a 12 dall’ingresso di Romania e Bulgaria, non c’è ancora «una democrazia piena nell’Europa orientale», così lo studio.
Ma anche la corruzione resta altissima in gran parte dell’Est. Lo conferma il secondo rapporto reso pubblico, il Corruption Perceptions Index di Transparency International, che vede tutto l’Est e i Balcani colorati di rosso e arancione – come l’Italia, che è al 53.o posto – con un alto grado di corruzione percepita. E soprattutto i Balcani non fanno progressi – o addirittura arretrano – nella lotta alle mazzette. La Bosnia, seguita da Albania e Macedonia, è maglia nera (101 e 106 posizione su 180), ma male fanno anche Serbia (91.a), Montenegro (66.o) e (Croazia (63.a). —
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