Dal Nonino una dedica ai ricercatori italiani precari e senza soldi

Occorre «battagliare per un mondo migliore, occorre salvare il pianeta dal degrado e sottrarlo al rischio di autodistruzione». Giannola Nonino ha aperto così, con questo appello, la 38.a edizione del Premio Nonino
Dall’inviato Arianna Boria
Persereano 26 gennaio 2013 Premio Nonino 2013. Copyright Foto Petrussi / Ferraro Simone
Persereano 26 gennaio 2013 Premio Nonino 2013. Copyright Foto Petrussi / Ferraro Simone

dall’inviato Arianna Boria

PERCOTO

«So di dare una delusione e faccio un appello per non restituire il premio, ma vi devo una confessione: sono astemia». Scoppia l’applauso nell’immenso capannone di Ronchi di Percoto, sancta sanctorum dei distillatori friulani, mentre la scienziata Fabiola Gianotti, la donna che ha scoperto il bosone di Higgs guidando un team di tremila ricercatori, conclude sorridendo il suo discorso, l’unico a braccio, dopo aver ricevuto il Premio Nonino 2013.

Sottile come uno stelo, in maglione ecrù punteggiato da bagliori dorati su una gonna nera, la donna che “Time” ha messo in copertina come una delle personalità più significative del 2012, sorride con semplicità disarmante e dice di voler condividere il suo riconoscimento con i tanti ricercatori italiani «che si debbono battere ogni giorno con le difficoltà legate alla mancanza di fondi e al precariato». Accanto a lei c’è Peter Higgs, appena insignito dai Nonino come “Maestro del nostro tempo 2013”, il padre teorico della tessera che sta alla radice dell’immenso puzzle dell’universo: dal 1964, ricorda, sono trascorsi quarantotto anni, una lunga attesa, prima che questa donna italiana, che conosce la polifonia della tastiera di un pianoforte e altrettanto bene sa guidare una squadra, avvicinasse tutti un poco di più al mistero della vita.

Al termine della premiazione i due scienziati, legati indissolubilmente da una misteriosa particella che ha annientato tra loro le differenze di approccio e di età, vengono salutati dal pubblico in piedi: un forte applauso per un risultato che coinvolge oltre diecimila scienziati di sessanta paesi, un’impresa della ricerca, ma anche, come ha sottolineato Gianotti, «un’esperienza umana speciale».

Premio Nonino, trentottesima edizione. Ieri mattina, sotto un sole gelido come una lama al neon, nello stabilimento di famiglia, è andato ancora una volta in scena il rito cultural-social-mondano, caldo e nazional-popolare, che ogni anno richiama a Ronchi una folla di imprenditori, artisti, letterati, socialites nostrani, amici. Un appuntamento che, immancabilmente riesce a far convergere in «una piccola porzione di mondo», come l’ha definita la poetessa Jorie Graham, insignita del premio internazionale, signore in paillettes e leopardato e signori col papillon d’ordinanza per una prima teatrale, tutti a sorseggiare il monovitigno Picolit vendemmia tardiva, gioiello di quest’anno, prima ancora che scocchi mezzogiorno. In mezzo agli ospiti, a far gli onori di casa, esuberanti come sempre, gli ormai “patriarchi” Giannola e Benito, le sorelle Elisabetta, Antonella e Cristina, una tribù di nipoti femmine, sempre più cresciute e carine, accanto - ed è ancora una citazione firmata Graham - «a un paio di uomini, eh sì, ci sono anche loro», tutti, per tradizione, a custodire i frutti e la cultura della terra e a farne, ogni gennaio, un formidabile strumento di promozione.

Nell’anno degli chef diventati più che mai star televisive e mediatiche, neo-guru del mondo contemporaneo, la festa del “Nonino” non poteva che aprirsi nel segno delle “stelle” dell’arte culinaria, con il premio speciale “Risit d’Aur» a Annie Féolde, Gualtiero Marchesi ed Ezio Santin, ambasciatori - così ha detto, presentandoli, Ulderico Bernardi, uno dei componenti della giuria - di quell’eccellenza italiana che si fonda sulla cura, la persistenza e il passaggio da una generazione all’altra delle radici culturali della cucina, in cui si sente «l’onesto crocchiare del pane, l’onesto profumo che sale dalle pentole, e, naturalmente, quello della grappa».

Annie Féolde, la giacca bianca che spicca sulla capigliatura rosso brandy, l’altra metà di Giorgio in quel tempio della ristorazione che è l’enoteca Pinchiorri di Firenze, ringrazia commossa e onorata con la sua “r” francese che si arrotola delicatamente sulle parole. Ezio Santin accomuna nel premio la moglie Renata, anima con lui dell’Antica osteria del ponte a Cassinetta di Lugagnano, culla dell’innovazione nel rispetto della tradizione. Infine, Gualtiero Marchesi, il cuoco italiano più conosciuto al mondo e oggi rettore della Scuola internazionale di cucina di Colorno, strizzando l’occhio alla padrona di casa, ricorda di quando sentenziava che la grappa era solo un sottoprodotto del distillato di cognac e Giannola lo invitava a rimandarle indietro il magnum di Picolit, con cui lo aveva appena omaggiato, «caso mai non gli fosse piaciuto».

Sale quindi sul palco Michael Pollan, il filosofo del cibo e dei cicli naturali della terra, cui va il “Risit d’Aur”, anche lui in vena di confessioni per l’uditorio: «Prima di aver vinto il Premio Nonino - esordisce - non ne avevo mai sentito parlare. E neppure di questa famiglia o di una città chiamata Udine. Ancora più imbarazzante, prima non avevo mai assaggiato la grappa. Tuttavia - aggiunge - in queste settimane ho imparato alcune cose e sono sorpreso e meravigliato di trovarmi improvvisamente legato a questo luogo, a questo lavoro e a queste tradizioni». E racconta, in un discorso conciso e appassionato, come le viti sappiano produrre una notevole serie di molecole per deliziare il nostro palato e alterare la trama delle nostre coscienze e pretendano in cambio che noi ci dedichiamo alla loro felicità e al loro benessere, al punto da premiare gli esseri umani che si occupano a tempo pieno di loro. Insomma, sono le viti, conclude Pollan, con il loro “ricatto emotivo”, ad averlo condotto per la prima volta attraverso la pianura friulana fino al palco di Percoto e quindi ad avere piena titolarità di essere menzionate nel ringraziamento per l’onore fattogli.

Premio Nonino 2013 ancora nel segno di una donna. Quella signora in pantaloni dalla capigliatura folta e scomposta e la lunga sciarpa rossa, che all’inizio della festa posa, per la gioia di tv e fotografi, accanto agli enormi alambicchi della sala, è, parola di Claudio Magris, la poetessa che scrive versi «dalla forza di uno tsunami e dalla grazia degli haiku», che sa inserire il «tempo storico», individuale, di ognuno di noi, «nel tempo enorme, rabbrividente, che trascende l’uomo». Jorie Graham, una delle voci più alte della poesia americana post-bellica, ringrazia e risponde con un paragone ardito: la grappa, un tempo considerata bevanda alcolica povera, è diventata nettare complesso grazie a immaginazione, giocosità, perseveranza, le stesse qualità che servono a tutti noi per arrivare al «distillato perfetto» della nostra pur sempre parziale conoscenza.

Dopo gli abbracci, i flash, il “Libiam” interpretato, come da tradizione, dai piccoli dell’emozionante coro “Manos blancas del Friuli”, è tempo di piluccare il robusto menù: gnocchi di zucca, goulash friulano, muset e brovàda, il tutto annaffiato dalla ribolla ma soprattutto dalle specialità sublimi di casa, distillati di “pirus” e grappe riserva d’annata per finire con un oscuro ma evocativo Nonino brulè «a base di Quintessentia».

Qualche stola di pelliccia, improvvida già dopo i bicchieri di benvenuto, comincia a scendere. Nel parterre, una grande assenza: i coniugi Missoni, colpiti dalla tragedia del figlio Vittorio, che Giannola saluta in apertura con un applauso affettuoso.

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