Dal Farra: «Lo smart working è una rivoluzione, ma serve un nuovo modello di lavoro»

Il presidente di Metàlogos sulle opportunità da cogliere per accompagnare il cambiamento

BELLUNO. La pandemia ha sconvolto l’economia, rendendo il mercato e il lavoro estremamente turbolenti. Per molti che non l’avevano mai sperimentato lo smart working si è rivelato complesso e faticoso, ma si tratta di un passaggio ormai inevitabile che, se gestito con la preparazione e gli strumenti giusti, potrebbe cambiare le nostre vite, in meglio. Ne è convinto Michele Dal Farra, presidente di Metàlogos Ricerca Consulenza Formazione, che analizza la rivoluzione in atto.

«Quanto è successo in questi mesi», spiega Dal Farra, «rivela un nuovo modo di vivere il lavoro e le nostre vite. Il punto è: come governare il cambiamento aumentando il nostro benessere. Durante il lockdown abbiamo fatto diversi incontri con il mondo della scuola, delle imprese e con le pubbliche amministrazioni per capire quali difficoltà c’erano, ma anche quali opportunità si potevano cogliere. La prima, grande, decisione che avevamo davanti era: cavalcare il cambiamento o far finta che non stesse succedendo nulla. La prima opzione richiede che le cose non si facciano più come prima, anche se quel metodo funzionava. Lo smart working, infatti, si può fare ovunque con evidenti vantaggi ed è un aspetto su cui investire a patto di mettere in atto una trasformazione reale».

Secondo lei, quale sarà lo scenario del mondo del lavoro da qui a un anno?

«Cercare di capire adesso cosa succederà nel medio periodo è uno spreco di energie. La pandemia ci è caduta addosso e più o meno tutti noi nel giro di sei giorni ci siamo ritrovati a lavorare da casa. Si tratta di un evento che solo poche ore prima sembrava impensabile. Il tema non è cosa succederà, ma come riusciremo ad interpretarlo».

Il cambiamento che lei auspica avrà un impatto notevole, qual è il rovescio della medaglia?

«Non solo bisogna adeguare strumenti e competenze digitali, ma serve un approccio totalmente diverso. Ad esempio: un’organizzazione verticistica, con tanti livelli decisionali, non funziona in regime di smart working. Servono modelli più piatti, persone con maggiore potere, responsabilità, capacità e rapidità nel prendere decisioni. Ed è questo il punto: dobbiamo preparare le persone a questo nuovo modello».

I vantaggi stanno diventando evidenti, almeno in termini di tempi.

«Sì perché, ad esempio, si annullano i tempi di spostamento. Oggi però abbiamo contratti di lavoro misurati in ore. Lo smart working impone un approccio diverso, non più a ore ma ad obiettivi raggiunti e quindi in termini di performance che il lavoratore può offrire al portatore di interesse. È chiaro che questo è dirompente perché cambia tutto».

Anche il vostro ambito, quello della formazione e della consulenza dovrà cambiare.

«Chi fa il nostro mestiere ha la responsabilità di costruire percorsi di consulenza e formazione che abbiano senso in questo momento storico. È una responsabilità etica, per come la vedo io, perché dobbiamo accompagnare la trasformazione e l’evoluzione dei lavoratori. Renderli autonomi, capaci di prendere decisioni con fiducia in se stessi e nel team, mettendo in campo competenze complesse. Serve, cioè, una formazione di qualità».

Quali sono le opportunità da cogliere?

«Se lavoriamo sui noi stessi come lavoratori per evolvere in smart workers veri, ne otterremo grandi benefici e maggiore benessere. Chi non riuscirà a fare il salto, invece, rischia di essere escluso dal mondo del lavoro. Magari non subito, ma a breve. In passato adattamento e cambiamento concedevano tempi lunghi, oggi va fatto subito».

Pensiamo alle famiglie con bambini piccoli, per loro il lockdown è stato estremamente problematico. Preparazione e adattamento non bastano in questi casi.

«Durante i nostri incontri virtuali è emerso proprio il problema degli spazi e della conciliazione lavoro-scuola-famiglia. Riducendo la presenza in ufficio, però, le aziende risparmiano notevolmente e queste economie devono essere investite in welfare, o in servizi come la connessione internet. Certo, stiamo parlando di imprese valoriali, attente alla qualità della vita dei loro lavoratori. La crescita delle persone dentro le organizzazioni richiede un allineamento di valori e coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Si parla tanto di sburocratizzazione: ecco, questo è il momento di concentrarci sull’obiettivo, anche se si tratta di rovesciare completamente alcune amministrazioni con molte resistenze».

Voi fate formazione, esistono bandi che finanziano questo momento di transizione?

«Sì, la Regione Veneto in particolare sta editando molte direttive finalizzate ai disoccupati, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni. Ci sono milioni di euro che bisogna andare a prendere con progetti che abbiano al loro interno questa questione, che è etica: dobbiamo usare questi soldi per un’evoluzione vera delle persone e delle organizzazioni, altrimenti non riusciremo a cogliere l’opportunità di orientare la rivoluzione in atto per costruire benessere. Oggi abbiamo: l’evento, le opportunità e i mezzi. Gli alibi non mancano mai, ma qui c’è in gioco la responsabilità di ognuno di noi. Dobbiamo formarci per stare nel cambiamento. È imprescindibile, fa parte del lavoro e chi non lo farà rischia di essere fuori mercato». —

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