Dal Cara alla laurea a Gorizia. Sadiq il diplomatico fuggito dai talebani: «Qui una famiglia»

La prima notte in città in una cabina telefonica vicino l’ateneo. Ora lavora all’Ictp di Miramare e fa il traduttore in prefettura

Sadiq Khan, il profugo fuggito dai talebani in Pakistan si è laureato a Gorizia

GORIZIA A fine 2015 Sadiq Khan trascorse la sua prima notte in Italia dormendo in una cabina telefonica, era distante solo qualche centinaio di metri dalla sede goriziana dell’Università di Trieste. Quasi tre anni e mezzo dopo quella notte di novembre, il ventiseienne fuggito dal Pakistan si è laureato proprio all’ateneo di via Alviano.

Oggi Sadiq Khan vive e lavora a Trieste come assistente alla biblioteca dell’Ictp, l’Istituto internazionale di fisica teorica fondato a Miramare dal premio Nobel suo connazionale Abdus Salam, e spesso viene chiamato a fare da interprete per la Commissione territoriale per la protezione internazionale, per la questura e per il pronto soccorso del capoluogo giuliano.



Tra il suo arrivo in Italia e il master in Diplomazia e Cooperazione internazionale, c’è stata l’esperienza nelle tende allestite al ricreatorio della parrocchia di Madonnina e, soprattutto, c’è stata la permanenza di quasi un anno al Cara di Gradisca d’Isonzo. Come lui stesso ricorda, quelli sono stati i momenti più difficili della sua avventura. Sadiq però non ha mai perso la speranza. Ha tenuto duro ed è riuscito a uscire dal tunnel dei pregiudizi e dei luoghi comuni. Anche se la sua tesi sulle migrazioni in Bangladesh legate ai cambiamenti climatici è scritta in inglese, si è ormai integrato. All’inizio non è stato facile e per imboccare la nuova strada ha prima imparato l’italiano.

Dopo essersi diplomato nel suo Paese in Scienze internazionali, Sadiq aveva lavorato sul confine afghano per conto dell’Unhcr. La collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha però rappresentato l’inizio dei suoi problemi. I talebani hanno cominciato a minacciarlo di morte perché collaborava con i non musulmani. Fino a quando rimaneva all’interno del campo dell’organizzazione internazionale si trovava al sicuro, nel momento in cui usciva la sua vita era in pericolo: diventava bersaglio degli integralisti e nessuno era in grado di garantire la sua sicurezza.

Con il padre rimasto ucciso in un attentato in una moschea, non ha avuto dubbi: il 10 ottobre 2015 ha deciso di partire verso l’Europa. Salutata la famiglia, si è messo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Ha viaggiato insieme a 90 persone in un camion attraverso l’Iran per 16 ore. Ha superato illegalmente la frontiera con la Turchia camminando per un giorno e mezzo. Ha attraversato il mare Egeo a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Ha risalito i Balcani fino all’Austria per poi scendere in treno verso Udine e arrivare a Gorizia. Nel suo caso, il viaggio era stato breve: ad agevolarlo era stata la decisione della Germania di aprire, in quel periodo, le frontiere. Per quanto più breve di quello di tanti altri migranti, il suo non era stato in ogni caso un viaggio facile. Paradossalmente, però, il momento più difficile era stato proprio quello dell’arrivo a Gorizia e delle due settimane successive, in cui pioveva sempre. A Gorizia però è anche ricominciata la sua vita.

Inizialmente il programma Sprar lo aveva assegnato a una struttura in Puglia, ma grazie allo stage avviato con l’Icpt e alla borsa di studio ottenuta dal ministero dell’Interno per proseguire la sua formazione accademica a Gorizia, Sadiq è stato assegnato a un appartamento di Trieste. «Quando ho iniziato l’università e stavo al Cara di Gradisca - ricorda -, anche se le lezioni iniziavano alle 11, partivo alle 8 insieme a chi doveva presentarsi al colloquio con la Commissione territoriale di Gorizia perché non avevo i soldi per il biglietto dell’autobus o del treno. All’inizio quando i miei compagni di corso mi invitavano alle macchinette per un caffè dicevo che non andavo perché in Pakistan beviamo il té, ma la verità era che allora non avevo nemmeno i 50 centesimi per il caffè. Poi ho cominciato a lavorare e le cose sono migliorate».

Lo scorso 22 marzo, alla discussione della laurea, insieme a quella che ormai lui considera la sua famiglia italiana, c’erano anche tre connazionali conosciuti proprio al Cara di Gradisca. «La mia famiglia ora è quella della biblioteca del Ictp, ma anche la mia famiglia naturale aveva fiducia in me e quando ho chiamato a casa per dire che mi ero laureato erano tutti molto felici».

«Alla fine - nota Sadiq - io sono riuscito ad integrarmi, ho fatto l’università, ma come me ce ne sarebbero tanti altri che vorrebbero continuare a studiare. Il problema però è quello del riconoscimento dei titoli di studio. Ci sono molti rifugiati che hanno un master, ma alla commissione non lo dicono perché poi fanno molte domande».

Nonostante Sadiq sia pakistano, il tema della sua tesi riguarda la migrazione dal Bangladesh. «In Bangladesh - nota - la situazione climatica è peggiore rispetto al Pakistan. La gente si è spostata nei grandi centri, ma le città non riescono più a sopportare la pressione delle migrazioni interne così si fugge all’estero. Il problema però è che non viene ancora riconosciuto lo status di “rifugiato climatico”». —


 

Riproduzione riservata © Il Piccolo