Dal cantiere Iskra di Sebenico va in disarmo il bacino di carenaggio con cui l’Italia risarcì la Jugoslavia per i danni di guerra nel 1950

Il dock datato 1924 entrò nel pacchetto che Roma dovette pagare. Dopo 72 anni di servizio è partito per la Turchia dove sarà smantellato. La nuova struttura era stata commissionata a un cantiere ucraino ma l’invasione russa ha fermato i lavori

Andrea Marsanich
Foto dal portale Šibenik News
Foto dal portale Šibenik News

FIUME È stato mandato in disarmo dopo una lunga e onorata carriera durata 72 anni, un periodo lunghissimo nel quale ha visto sfilare diverse generazioni di lavoratori sebenzani. A salutare il vecchio dock del cantiere navale Iskra di Sebenico sono state le sirene delle navi e le campane delle chiese della località dalmata: l’omaggio tributato a un bacino galleggiante che ha fatto la storia di questo stabilimento navalmeccanico.

La struttura è stata trainata verso la Turchia per quello che è il suo ultimo viaggio. Una partenza che ha fatto venire le lacrime agli occhi a non pochi operai del cantiere, specialmente a quelli che hanno trascorso decenni al lavoro in bacino. Il destino del dock dopo tanto tempo era segnato: in Turchia verrà demolito e riciclato.

Costruito nel 1924 in Italia, il bacino era diventato nei decenni un simbolo del cantiere Iskra (che appartiene all'omonima azienda slovena) e della stessa località dalmata. L’ormai ex dock è lungo 77 metri, largo 22,2 metri e con una portata di 1.500 tonnellate. Era arrivato a Sebenico nel 1950, ormeggiato in quella che nell’insenatura di San Pietro era la sede dell'Istituto marittimo per le riparazioni tecniche, fondata nel 1948 al posto della vecchia base navale austroungarica istituita all'inizio del secolo scorso - per l'esattezza nel 1905.

Il dock era stato trasferito nelle acque dalmate poco dopo la seconda guerra mondiale in quanto faceva parte del pacchetto di risarcimenti per i danni di guerra che l'Italia uscita dal regime fascista era stata costretta a pagare alla Jugoslavia di Tito – il tutto sancito dai Trattati di pace di Parigi del 1947 – con Roma condannata a versare all’allora Federazione qualcosa come 125 milioni di dollari, cedendo inoltre i suoi territori orientali. In questo contesto appunto era entrato anche il dock costruito 26 anni prima e di ottima qualità.

In viaggio il vecchio bacino verso la Turchia, si apre ora il tema della nuova struttura che lo sostituirà. Roko Vuletić, componente della direzione dell'Iskra, ha reso noto che il cantiere spera di avere il nuovo impianto - previsto di dimensioni maggiori - in tempi non lunghi: «Potremo disporre di un bacino del tutto nuovo, moderno, lungo 120 metri, largo 32 e che potrà sollevare navi pesanti fino a 5 mila tonnellate. Un importante passo avanti, anche se non dimentichiamo il contributo dato dal vecchio dock alla storia del nostro stabilimento».

Il fatto è che la costruzione della nuova struttura era iniziata lo scorso anno nel cantiere Pallada della città ucraina di Kherson: il contratto era stato firmato a novembre a Kiev. Il termine di costruzione era stato fissato in 13 mesi e una volta terminato il bacino di carenaggio sarebbe stato rimorchiato dal Mar Nero a Sebenico. L’invasione russa dell’Ucraina - con la città di Kherson peraltro in mano russa - ha stravolto i piani, e Vuletić qualche settimana fa ha fatto sapere che Iskra ha anche offerto aiuti umanitari al cantiere di Kherson. «Purtroppo il conflitto hanno interrotto la costruzione», ha commentato ora Vuletić: «La nostra speranza è che finisca, anche per vedere ripresa la costruzione di un impianto che per il cantiere di Sebenico rappresenta il maggiore investimento degli ultimi cent’anni, in grado di potenziare in modo enorme la sua produzione e migliorare la qualità dei servizi». Con un costo previsto in una ventina di milioni di euro, il nuovo dock infatti «potrà essere adibito ad area di riparazione e manutenzione di tutta la flotta dell'armatrice fiumana Jadrolinija, delle navi in servizio nella Marina militare croata e dei megayacht di lunghezza anche superiore ai cento metri». La guerra però intanto ha fermato tutto. —

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