Dai transatlantici all’Ursus in fuga nella bora, va in pensione il capitano de Visintini

Bora forte. Si sfiorano i 170 chilometri orari. Sono le otto del mattino del 2 marzo di sette anni fa. L’enorme gru di 80 metri, che porta il nome di Ursus, rompe gli ormeggi e se ne va,...

Bora forte. Si sfiorano i 170 chilometri orari. Sono le otto del mattino del 2 marzo di sette anni fa. L’enorme gru di 80 metri, che porta il nome di Ursus, rompe gli ormeggi e se ne va, verso l’infinito e oltre. Con lui, il piccolo rimorchiatore “Audax”. Toccano lo spigolo del Molo IV, si sfilano dalla diga vecchia e prendono il largo. A quell’ora il Capitano di lungo Corso Renzo de Visintini sta dirigendosi, come sempre, nel suo ufficio. Non salirà però a bordo dei rimorchiatori della Tripmare spa, la compagnia alle cui dipendenze prestava servizio fino a pochissimo tempo fa, che allora intervennero per riportare in sicurezza il gigante. Ma dirigerà le operazioni direttamente dall’ufficio. «I nostri uomini uscirono immediatamente quella mattina, bisognava agire subito, perché c’erano delle petroliere in rada», racconta oggi, da poco pensionato, ricordando alcune delle imprese cui ha partecipato nel corso della sua carriera iniziata più di 40 anni fa a bordo di alcuni transatlantici. Una vita per il mare, raccogliendo l’eredità del padre Dario. Aveva iniziato a 17 anni, verso la fine del percorso scolastico all’istituto Nautico, e da lì mai si era fermato: prima aveva navigato, poi, nel 1981, fu assunto quale comandante dell’allora Tripcovich e successivamente passò a incarichi di coordinamento .

L’Ursus, si diceva. Uscirono tre rimorchiatori. Con i comandanti Mauro Delben, Riccardo Segarich e Franco Piccaro intervenne ovviamente anche la Guardia costiera con il capo reparto Diego Tomat. «Io, dall’ufficio, davo le coordinate». Il momento clou fu quando, raggiunto il pontone, «due marinai in maniera ardita salirono sul pontone dell’Ursus e lo agganciarono a uno dei due rimorchiatori». Sembrava che il grosso fosse stato fatto. «Ma il cavo si spezzò, dovettero tornare sotto bordo – precisa de Visintini -, l’Ursus era troppo pesante e allora decidemmo di agganciare rimorchiatore a rimorchiatore. In accordo con i piloti del porto facemmo, infine, entrare l’Ursus dalla canaletta delle petroliere. E, quella mattina, riuscimmo a riportare indietro anche l’Audax. L’allora comandante della Capitaneria di porto riconobbe pubblicamente a tutti il merito dell’impresa, cosa davvero particolarmente rara».

Ma come è possibile gestire queste operazioni così delicate? «S’improvvisava, con la preparazione di sempre, ma con te c’è sempre qualcuno che ne sa di più e insegna».

Il cellulare del capitano era sempre acceso e lui era reperibile 24 ore su 24. De Visintini, uno degli ultimi capitani d’armamento, ha dedicato almeno trent’anni della sua vita alla Tripmare con «indiscussa capacità e spiccata dedizione», come ha sottolineato recentemente il numero uno della Capitaneria di Porto, il comandante Luca Sancilio. Tanti i salvataggi, attuati per riportare al sicuro navi finite alla deriva o colte all’improvviso dalle fiamme. Come quando, il 14 febbraio del 1984, «andammo al largo di Ancona, dove c’era la nave Maria Dormio, che si era inclinata di più di 20 gradi a dritta a causa dello spostamento improvviso del carico». Assieme ai nostromi Giuseppe Bucich e Danilo Boneta, de Visintini riuscì a salire a bordo.

«Nevicava – sottolinea -, siamo comunque riusciti ad agganciare l’unità al rimorchiatore e l’abbiamo trainata fino ad Ancona». E quando partì per tre giorni alla volta delle Brioni? «In mezzo al mare era stato avvolto dalle fiamme l’“Und Adriyatik”, una nave da trasporto turca di tipo ro-ro. Era il febbraio del 2008. Siamo rimasti a gestire le fiamme in mare aperto per tre giorni con i tecnici della Smith International e la società Panfido di Venezia. Dovevamo raffreddare le lamiere con un getto di 2.700 tonnellate d’acqua all’ora, con cannoni, affinché la nave non collassasse». —


 

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