Dai traffici portuali al commercio, le mani di Cosa Nostra sul Fvg

Nel mirino della Dia anche il business della droga e il giro di soldi sporchi reinvestiti in società dell’Est

TRIESTE. Traffici portuali, cantieristica navale, commercio al dettaglio, operazioni finanziarie sospette. E, ancora, milioni di euro frutto di truffe ed estorsioni investiti anche in Slovenia e in Croazia. Il Friuli Venezia Giulia, e così l’intero territorio circostante, continua a far gola alla criminalità organizzata. E non solo alle cosche o alle ’ndrine, per fare solo qualche esempio, ma anche a quella cinese.

L’ultimo dossier della Dia, la Direzione investigativa antimafia, conferma una realtà ormai consolidata da anni. Il report si riferisce in particolare al periodo luglio-dicembre 2018. Un arco temporale in cui le indagini non sono affatto mancate. A cominciare da quella nel Porto di Trieste, sulla Depositi Costieri, la società di stoccaggio dei prodotti petroliferi acquisita da alcuni pregiudicati collegati al clan camorristico Veneruso di Volla. La ditta era stata oggetto di un’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura nel dicembre 2017.

Gli investigatori, pur «non rilevando a Trieste elementi certi» di radicamento delle consorterie criminali organizzate, spostano l’accento piuttosto «sui tentativi» di infiltrazione nel tessuto economico. La vicenda del porto, a questo proposito, è emblematica: con l’acquisto della Dct, i camorristi avevano messo un piede nello scalo.

La Dia ha accertato gli interessi della mafia anche nel traffico di stupefacenti; lo dimostra l’indagine dello scorso ottobre su due albanesi che avevano maturato un debito con un napoletano stabilito da tempo a Trieste per il pagamento di una partita di droga. L’inchiesta aveva portato a galla un sistema di approvvigionamento per la piazza locale gestito da pregiudicati campani residenti a Milano.

L’attenzione resta alta pure in provincia di Gorizia, soprattutto nella cantieristica navale di Monfalcone: già nel 2013 erano stati segnalati i tentativi di infiltrazione negli appalti da parte di un imprenditore palermitano vicino a Cosa Nostra. La provincia di Pordenone è diventata invece terra di conquista di usurai campani, e di gruppi criminali trasversali riconducibili alla ’ndrangheta, alla camorra e al clan dei Casamonica in vari settori economici.

In un’inchiesta del 2016 era stata sequestrata anche una ditta di produzione di attrezzature industriali, acquisita in seguito a un fallimento. La criminalità pugliese, in particolare, come in altre regioni ha fatto registrare forme di “pendolarismo criminale” per furti, rapine ed estorsioni.

Nemmeno Udine è esente da questi fenomeno: la Dia conferma la presenza di vari soggetti collegati alla camorra attivi nel commercio al dettaglio di abbigliamento, con l’utilizzo talvolta di società create appositamente per nascondere altre attività illecite, come lo spaccio di droga. A Pradamano, inoltre, nel gennaio 2017 sono stati sequestrati due negozi di abbigliamento finiti nelle mani della cosca Piromalli.

I casalesi hanno guardato sempre al Nord Est, da Portogruaro a oltre confine, per investire. Risale a dicembre l’inchiesta sul giro di capitali frutto di proventi illeciti, tra cui truffe ed estorsioni, reinvestiti in società croate e slovene. Varie indagini in Friuli Venezia Giulia hanno infine constatato il massiccio giro di prostituzione all’interno di centri massaggi ed estetici gestiti dalle organizzazioni criminali cinesi.




 

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