Dai rifiuti al gabbiano morto il degrado nasce da lontano
Ora sappiamo che il pesce che mangiamo tutti i giorni, quello che finisce nelle pescherie della città, proveniva da qua. Dal Mercato Ittico di Trieste, una sorta di monumento alla zozzura che nessuno poteva immaginare. Non sarà Calcutta, come ha osato qualcuno, ma se l’Azienda sanitaria dopo la visita dei Nas ha definito «grave» la situazione, irrompendo nella quiete estiva, qualche motivo ci sarà. Merita dunque far due passi in Scalo Legnami, all’ex Gaslini, per capire cosa intendevano i funzionari sanitari con quel «grave».
Il primo indizio sollecita una domanda: come speravano di passare indenni le ispezioni, in questo capannone da 1.100 metri quadrati, con quei pezzi di gabbiano morto stecchito, non certo da ieri, sotto la scalinata dell’ingresso? Certo, si dirà, non è la hall di un albergo, o la saletta di attesa del dentista. Insomma, qui si scaricano casse di sardoni, con pennuti e gattacci in agguato. Qui le esche per topi fanno parte degli arredi.
Per il secondo indizio bisogna accucciarsi un momento e dare un’occhiata dalle parti delle celle frigo. Già, i frighi, dove si conserva il pesce. Cosa ci fa quel pattume marcio ammonticchiato per bene? Hanno fatto come si fa quando si nasconde la polvere sotto il tappeto, metafora che descrive a pennello anni e anni di incuria e abbandono dell’intera struttura. Tutto ficcato per benino dove nessuno vede. Non è una questione di lana caprina, di norme troppo rigide da rispettare. I resti del gabbiano morto, ricettacolo di insetti e batteri, si potevano togliere. L’immondizia sotto le celle frigo pure. Ma chi controllava? I custodi? L’usciere? Sapevano i dirigenti comunali? Sapeva l’assessore? E se sapevano perché non hanno mosso un dito, o una ramazza, per far pulire? Ora i Nas e l’Azienda sanitaria, che pur aveva mandato lettere su lettere per mettere sul chi va là gli addetti ai lavori, hanno abbassato i battenti mandando in crisi un intero settore. Pescatori, pescherie, ristoratori. L’assessore al Commercio Lorenzo Giorgi scuote il capo: «L’avevamo pur detto, in Consiglio comunale, che così non si poteva andare avanti». Giorgi in ufficio ha controllato un po’ di carte e si è accorto che, a Bilancio, era previsto uno stanziamento di 300 mila euro per le manutenzioni straordinarie del sito, poi scesi a 150 e, ancora, riportati a 300 con un emendamento. Ma a disposizione solo in caso il Comune fosse riuscito a raggranellare qualche soldo dalle vendite immobiliari. Il neo assessore e la collega di giunta, la responsabile dei Lavori pubblici Elisa Lodi, hanno già dato ordine di intervenire, ma interrompendo il contratto con la ditta di pulizie che gestiva finora l’appalto, giudicata inadempiente. Manderanno una pattuglia fissa della Polizia municipale, d’ora in avanti, per vigilare. Giorgi l’ha promesso perché gli uscieri non bastano e qui, si è saputo, entra ed esce chiunque.
Ieri comunque erano in corso le operazioni di sanificazione, ma ci sono anche altri problemi da affrontare, tutti elencati nelle prescrizioni dell’Azienda sanitaria. Lungo la banchina di sbarco, ad esempio: lì andrà subito sistemato un bucone sull’asfalto. Ed ecco la sala delle aste, dove all’alba si contrattano i prezzi del pescato. Muffe sui tubi, pavimento rovinato, ragnatele, muri scrostati, le grate delle canalette per terra tutte arrugginite e sporche. «Va detto - avverte Giorgi - che non stiamo parlando di una situazione pericolosa dal punto di vista alimentare e per la salute delle persone, ma non si può negare che questo sia degrado. Un posto che chiaramente necessitava di manutenzione e igiene, ma che non sono stati fatti». L’assessore Lodi annuisce: «Una scelta tragica portata avanti dalla precedente amministrazione, per fortuna noi siamo intervenuti immediatamente. Come si può vedere siamo già all’opera».
Andranno sostituite le guarnizioni dei frighi, consunte e non particolarmente pulite, e si dovrà dare una mano di bianco - o forse di più - sulle pareti dove si sta staccando l’intonaco. Non un dettaglio, questo, se si pensa che l’intero soffitto è stato come “sigillato” nel 2009 con un’impalcatura di metallo da 850 metri quadrati, per fare in modo che altri pezzi di malta non cadessero da sopra, sulla testa dei pescatori. E sul pesce. Rifare tutto, riferiscono i dirigenti del Comune, sarebbe costato 1 milione e 200 mila euro. Avrebbero dovuto chiudere il Mercato Ittico, fermando l’attività. Adesso che i nodi sono venuti al pettine è accaduto davvero.
(g.s.)
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