Dai prosciutti alle lumache: nuovi diktat per le “osmize”
TRIESTE. Dall’Achillea millefolium, il millefoglio, al Vaccinium myrtillus L., il mirtillo nero. La Regione allarga il regolamento sulle piccole produzioni locali di alimenti a un lunghissimo elenco di materiale botanico a uso alimentare. E ci aggiunge anche un altro capitolo specifico, quello sulle lumache.
La disciplina delle piccole produzioni locali di alimenti di origine vegetale e animale è rivolta, come nella prima versione del regolamento (febbraio 2014), agli imprenditori agricoli che svolgono attività di produzione, lavorazione, preparazione e vendita di quantitativi limitati di carni suine, avicole e cunicole (compresi gli ungulati selvatici), ma anche di miele, pane, confetture e succhi di frutta e adesso, ecco la novità, pure di erbe officinali, lumache vive e sughi di lumache. Gli interessati, si precisa ulteriormente, non sono commercianti, ristoratori e gestori di alloggi agrituristici (che seguono una disciplina specifica), ma operatori per i quali queste piccole produzioni locali sono una forma di integrazione al reddito e non l’attività principale. Si tratta dunque, tra l’altro, dei titolari di frasche e osmize, chiamati al rispetto delle norme base della sicurezza alimentare.
La Regione si è mossa su input della Ue (le prime direttive risalgono al 2002 e al 2004) e di un paio di commi sull’igiene dei prodotti infilati nella Finanziaria 2011. Si sono attesi tre anni, peraltro, per l’approvazione di un primo regolamento. Una ventina di pagine che fissano paletti soprattutto quantitativi: i salumi di propria produzione possono essere ottenuti lavorando non più di 40 suini all’anno, mentre il tetto massimo degli avicoli è di 1.500 unità, i conigli non possono superare quota 500 e i prodotti dolciari a base di miele e frutta non più di 5.000 kg di peso netto. Regole chiare anche su tecniche di preparazione e requisiti dei locali per la lavorazione, la maturazione, il deposito, la vendita e la somministrazione dei prodotti. Ma si entra nel dettaglio anche del sale di cottura dei salumi (non meno del 2,5% del peso finale dell’impasto), della stagionatura, del congelamento, della tracciabilità degli alveari, delle ricette per il pane e le marmellate.
A inizio agosto, su proposta di Maria Sandra Telesca, di concerto con Sergio Bolzonello, il regolamento è stato aggiornato e le pagine sono diventate 30 a seguito dell’aggiunta di due nuove sezioni. La prima riguarda i prodotti alimentari vegetali, una lista di 110 erbe e frutti che potrebbero finire in un piatto o in un bicchiere: dal coriandolo allo zafferano, dall’origano all’alloro, dalla salvia al timo, dall’albicocca alla ciliegia. E ancora dragoncello, maggiorana, anice, ribes, ortica, biancospino, erba cipollina, cren, sambuco e cicoria. Un’ulteriore tabella stabilisce le percentuali per le bevande della tradizione locale: nell’infuso dell’alpinista, ad esempio, dovranno comparire il 30% di menta piperita, il 30% di foglie di lampone, il 25% di melissa, il 5% di foglie di fragola, il 5% di fiori di calendula, il 3% di monarda e il 2% di fiordaliso. Nel regolamento 2015 si precisa come e quando procedere alla raccolta. Anche in questo caso con un limite: non si possono superare i 3.500 kg di erbe fresche per ettaro coltivato e i 1.000 kg di specie spontanee.
La seconda novità riguarda le lumache. Per potersi registrare a quel tipo di allevamento (per almeno 4 mesi all’anno e per non più di 3mila kg di prodotto) gli imprenditori dovranno essere pronti a rispettare diverse modalità di commercializzazione: per le lumache vive servono confezioni in retina dopo spurgatura e asciugatura di un paio di settimane; per la conservazione di lumache precotte in salamoia (massimo 500 kg all’anno di prodotto finito) si deve prevedere un contenuto di sale minimo del 20%; per il sugo di lumache fresco (durata del prodotto non superiore ai 5 giorni) si impone un processo di abbattimento termico post cottura e una successiva conservazione a 4 gradi. In frasca e osmiza le ricette dovranno inoltre «rispettare le tradizioni locali».
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