Dai prosciutti agli elettrodomestici La mappa delle crisi: 2.500 a rischio

Viaggio nelle realtà industriali in affanno. Le fragilità maggiori segnalate nella Venezia Giulia In Friuli preoccupano i settori meccanico e chimico. Ricorso alla Cassa integrazione in ripresa 
Lasorte Trieste 28/12/18 - Via Ressel, Zona Industriale, Principe di S.Daniele, Punto Vendita e Stabilimento
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Il comunicato di famiglia che ufficializza la crisi del prosciuttificio Principe, marchio storico dell’alimentare. Le procedure di licenziamento alla Giuliana Bunkeraggi, pilastro dell’indotto portuale triestino su cui si è allungato pure lo spettro della camorra. Crisi che colpiscono, per la notorietà delle insegne e per il fatto che interessano di comparti in salute, ma il bollettino delle ultime settimane non è un fulmine a ciel sereno. La Venezia Giulia è l’area più in difficoltà della regione, ma anche in Friuli la mappa è riempita di imprese fragili. Pure nella meccanica, nella chimica, nel tessile, nel legno-arredo. Nella seconda parte del 2018, non a caso, il ricorso alla cassa integrazione ha fatto segnare un deciso rialzo. A inizio anno, secondo la Cgil, il “cuscinetto” degli ammortizzatori, nelle diverse modalità, coinvolge in tutta la regione 2.500 persone.

LA mappa

Michele Piga, segretario della Cgil triestina, aggiunge a Principe e Giuliana Bunkeraggi la Cartiera Burgo e la Colombin, storica azienda che produce tappi di sughero. E non dimentica la Ferriera di Servola: «Se chiudono l’area a caldo, vanno a casa 400 persone». Fatti i conti, indotto compreso, nella sola Trieste «ci sono mille posti di lavoro a rischio». In provincia di Gorizia le crisi aperte sono quelle della Coveme, leader mondiale nella conversione di film di poliestere (sette licenziamenti a novembre scorso), e della Nidec di Monfalcone (macchine elettriche rotanti, 17 contratti interinali non rinnovati dal 1 gennaio), la ex Ansaldo finita in mani giapponesi e insediata anche a Pordenone.

il FRIULI

Area con situazioni già esplose alla Presotto di Brugnera, settore mobili (il concordato preventivo ha dato ossigeno a un centinaio di lavoratori), e alla Lavinox di Villotta di Chions, gruppo Sassoli, specializzata nella fornitura di componenti in acciaio per i grandi elettrodomestici professionali, 150 addetti in bilico. Tra i nodi da sciogliere, a sentire il segretario locale della Cgil Flavio Vallan, anche il nuovo piano di investimenti di Electrolux, «che tra l’altro deve smaltire un’ottantina di esuberi sul territorio provinciale». E poi c’è la provincia di Udine, la più estesa, quella in cui si segnala una lieve ripresa nell’edilizia, fa sapere sempre per Cgil Natalino Giacomini, ma in cui emergono, oltre a Principe di San Daniele, anche i casi di Amaro, dove la Larice Carni è passata dalla minaccia di licenziamento dei 15 dipendenti alla faticosa caccia a un acquirente, delle Officine riunite di Basaldella, zavorrata dalla commesse in calo e costretta nel 2017 ad annunciare 41 esuberi, il 30 per cento della forza lavoro, e delle Confezioni Daniela di Pantianicco, con 40 donne a un passo dal licenziamento. Mentre alla Dm Elektron di Buja una trentina di lavoratori ha scioperato e picchettato l’ingresso preventivamente temendo un processo di delocalizzazione.

La CASSA INTEGRAZIONE

Le vicende, a partire proprio dalla Dm Elektron, sono diversificate. Non tutti sono con l’acqua alla gola, c’è chi vede più di uno spiraglio. Su Principe, per esempio, in attesa di ricevere dal Tribunale di Modena risposta alla richiesta di concordato “in bianco”, c’è in qualche modo ottimismo. Ma Villiam Pezzetta, segretario regionale della Cgil, cita anche le incertezze nel triangolo della Sedia, nel distretto del mobile e alla Snaidero (resta la stima di un centinaio di esuberi) e non dimentica «le situazioni meno eclatanti, ma non meno gravi per il solo fatto di non essere ancora al tavolo delle istituzioni». E poi “pesa” i dati sulla cassa integrazione: le richieste di Cig nei primi 11 mesi del 2018 risultavano in calo del 13% rispetto al 2017, ma dopo una riduzione del 38% nel primo semestre, da luglio hanno fatto segnare un incremento del 45%. «È un segnale di preoccupazione, perché molte aziende, anche per effetto di regole più stringenti, sono vicine all’esaurimento del plafond».

L’OCCUPAZIONE

Segnali che sono in controtendenza con quelli positivi del mercato del lavoro, ritornato sostanzialmente ai livelli pre-crisi con un dato medio di 512 mila occupati e un picco di 523 mila nel terzo trimestre. Anche in questo caso, tuttavia, Pezzetta non si fida più di tanto: «Mi chiedo se ha senso fare i raffronti con il 2008. Abbiamo infatti assistito spesso a un riassorbimento nel terziario e dunque non siamo certo tornati a dieci anni fa. Non ci sono sintomi di recupero per l’occupazione giovanile ed è irrisolto il grande tema del lavoro povero, soprattutto nella filiera degli appalti, che pone l’esigenza di una riqualificazione anche attraverso nuove regole sulle gare pubbliche».

La VENEZIA GIULIA

Guardando ai territori, è proprio la Venezia Giulia, come detto, a preoccupare maggiormente. Con la Ferriera che non è una crisi aperta, ma rimane sotto osservazione: «Parliamo di una presenza industriale fondamentale, eppure nulla si conosce ancora del piano di investimenti». Piga entra nel dettaglio di Trieste: «Se a Servola pesa la mancanza di un nuovo accordo di programma, decisivo per creare nuovi posti di lavoro sfruttando l’Ezit e il Punto franco industriale, alla Burgo di Duino scontiamo anche i ritardi nella valutazione ambientale, da parte della Regione, sul nuovo impianto di pirorigassificazione, cui sono legate le prospettive di ricollocamento dei 100 esuberi dichiarati dalla proprietà».

Thomas Casotto, segretario Cgil della provincia di Gorizia, esclude una nuova emergenza esuberi, ma denuncia la questione occupazione: «Ci attendevamo segnali di recupero dal nuovo protocollo con Fincantieri ma, di fronte a un obiettivo di 400 ricollocamenti, siamo fermi a 13. Come accelerare? Va fatto uno sforzo ulteriore anche sul terreno della formazione, e dell’attenzione alla legalità. Un’altra sfida che il territorio non può permettersi di perdere, ma che al momento è ferma al palo, riguarda il rilancio del porto di Monfalcone».

LE CRITICHE ALLA POLITICA Non mancano i richiami alla Regione da parte del sindacato confederale. Pezzetta ha visto un’impostazione «troppo ideologica» e non promuove nemmeno il piano di investimenti: «Abbiamo l’impressione che il ricorso al debito vada più nella direzione di un incremento della spesa corrente che a sostegno degli investimenti pubblici e privati». È andata meglio «in materia di politiche attive del lavoro e sulla sicurezza, e incassiamo con soddisfazione gli incentivi per il ricollocamento dei disoccupati in età matura».

La Cisl, con il segretario generale Alberto Monticco, non lesina critiche pesanti alla politica nazionale e a quella regionale. «Le preoccupazioni sono quelle di un anno fa - afferma -, amplificate dal fatto che le politiche attive non si muovono, con quelle passive di fatto decurtate. In Friuli Venezia Giulia, a parte Fincantieri, Wartsila ed Electrolux, tutto il resto ci appare come un problema. Finiti gli ammortizzatori sociali, se si conferma la procedura di mobilità, temo che alla Burgo non si riuscirà a pagare neanche i costi fissi. E ci sono non pochi interrogativi sulla siderurgia». La Regione? «Il presidente Massimiliano Fedriga parla molto poco con le organizzazioni sindacali. Non ci ha praticamente considerati in occasione del Bilancio. Visto com’è stato costruito il ddl, con la sola eccezione di politiche del lavoro che hanno retto ma con il nulla sull’industria, forse ci ha fatto pure un favore».

Alla Uil, infine, il ricorso al debito è piaciuto. Ma la scure del concorso alla finanza pubblica è uno spettro. «Non possiamo immaginare di versare 800 milioni all’anno per tre anni - dice Giacinto Menis, segretario regionale -. La giunta regionale è chiamata a resistere di fronte alle mire dello Stato».

A trasmettere preoccupazione è anche la parte datoriale. «Il caso Principe non lo conosco, ma Cartiera e Ferriera rimangono grossi dubbi – commenta il presidente di Confindustria Venezia Giulia Sergio Razeto –. In un clima di peggioramento dell’economia, non sono elementi confortanti».

LA NUOVA AGENZIA

A Palazzo la prima risposta è stata l’Agenzia Lavoro&SviluppoImpresa. Non un carrozzone, assicurano Sergio Bini e Alessia Rosolen, che ne condividono il battesimo, «ma una sinergia per immaginare un piano industriale per il nostro futuro». Rispetto alle critiche del sindacato, l’assessore alle Attività produttive, si mette in una posizione d’ascolto: «Accettiamo tutti i consigli. Ma possiamo assicurare che, dopo la montagna, ci concentreremo anche su una Venezia Giulia che ha sì il porto come fattore di sviluppo, ma sta certamente pagando in termini industriali». L’assessore al Lavoro ammette che di politiche industriali, in regione, «non se ne vedono da decenni».

E sottolinea come i piani formativi «sono stati trascurati tanto dai datori di lavoro quanto dai sindacati». Le crisi d’azienda? «Le stiamo seguendo tutte con attenzione - conclude Rosolen -. Siamo intervenuti sull’Irap e sulle politiche del lavoro: speriamo servano, ma nessuno ha la bacchetta magica. Quel che è certo è che continueremo a prevedere contributi e incentivi e a sottoscrivere accordi. Con la garanzia che non ci siano delocalizzazioni che impoveriscano il territorio». —



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