Dai pipistrelli a serpenti e tassi: i cibi della tradizione nel mirino

Ma per il Dragone nutrirsi di animali esotici è un rito antico: c’è chi crede abbiano poteri curativi

PECHINO. Fino a quando l’epidemia da coronavirus non sarà passata, la Cina ha messo al bando in tutto il Paese la vendita di animali selvatici nei mercati, nei ristoranti e sulle piattaforme di e-commerce. Mentre la Commissione per la Salute Nazionale ha confermato che la diffusione del nuovo coronavirus si sta rafforzando e che il numero delle infezioni potrebbe continuare a salire, il governo di Pechino ha ieri annunciato lo stop all’allevamento, al trasporto e alla vendita di tutte le specie di animali selvatici. La mossa delle autorità della Repubblica Popolare arriva mentre gli specialisti sono convinti che l’epidemia - che ha già contagiato oltre 2000 persone in tutto il mondo e ucciso almeno 56 pazienti in Cina - abbia avuto origine in un mercato di Wuhan specializzato in prodotti ittici, ma dove venivano venduti anche animali esotici: serpenti, tartarughe, alcuni tipo di roditori, fagiani e tassi. Appena l’epidemia da coronavirus ha iniziato a diffondersi, il mercato di Wuhan è stato chiuso e anche altre province della Repubblica Popolare hanno aumento le restrizioni, anche se su Taobao - il principale portale di e-commerce in Cina - era ancora possibile trovare specie insolite.

Non è la prima volta che animali selvatici vengono collegati alla diffusione di malattie: gli esperti hanno trovato legami tra i pipistrelli e l’epidemia di ebola, mentre il contagio all’uomo della Mers è avvenuto attraverso i cammelli. Già all’inizio degli Anni 2000, durante la crisi della Sars, gli esperti avevano puntato il dito su un mercato della provincia del Guangdong con animali selvatici. Durante l’epidemia di polmonite atipica di diciassette anni fa, gli scienziati pensarono che a trasmettere il virus dai pipistrelli all’uomo fosse il musang: carnivoro simile a un gatto tipico del Sud-est asiatico, considerato prelibatezza al Sud del Paese.

Il consumo di specie insolite ha una lunga tradizione in Cina: la carne di questo tipo di animali ha rappresentato un’importante fonte di proteine in anni in cui il Paese era periodicamente colpito da carestie. Ancora oggi sono radicate molte superstizioni sui presunti benefici per la salute collegati all’uso medico o gastronomico di animali esotici. Il consumo di specie «qiqiguaiguai» è però in calo soprattutto tra le generazioni più giovani. Secondo un sondaggio del 2006 della WildAid di San Francisco e della China Wildlife Conservation Association, circa il 70% degli intervistati non aveva mangiato neanche una volta nell’anno precedente animali selvatici, contro il 51% del 1999. Ma mentre la diffusione dell’influenza da nuovo corona virus è in cima ai temi più discussi sui social della Repubblica Popolare, sono tornate prepotenti le critiche - con decine di milioni di visualizzazioni - contro una tradizione associata all’ostentazione di ricchezza. «Mangiare animali selvatici non aiuta l’impotenza e non ha poteri curativi», ha scritto su Weibo la presentatrice televisiva Jin Sichen. «L’unico risultato del mangiare selvaggina sono le malattie», si ammoniva sui social.

Giorni fa un gruppo di diciannove ricercatore della Accademia Cinese delle Scienze aveva lanciato un appello per un bando sul consumo di animali selvatici come causa di pericolo per la salute pubblica. «Vietare il consumo di animali non è importante solo per la conservazione dell’ambiente - si scriveva -, anche per la salute pubblica». In Cina è vietato il traffico di alcune specie protette - spesso i media della Repubblica Popolare danno notizie di sequestri ai confini con il Sud-est asiatico - ma la legge consente di allevare 54 differenti specie di mammiferi, uccelli, insetti e rettili. Non è però raro che animali catturati in natura siano inviati negli allevamenti per ottenere la certificazione. Lo scorso settembre le autorità mediche di Wuhan avevano fatto un’ispezione del mercato, senza però trovare alcuna violazione.

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