D’Agostino: «Il nostro futuro si gioca sulla blue economy e sulla manifattura»
Nascita e rinascita, separate da trecento anni. È il 2019 e gli osservatori internazionali attribuiscono al porto di Trieste un’inedita possibilità di rilancio offerta dalle giravolte della geopolitica mondiale. Bizzarra coincidenza della storia: esattamente tre secoli fa, nel 1719, l’impero austriaco fece di un borgo di pescatori la via d’accesso delle merci del Levante verso l’Europa centrale.
Ieri era il gigante asburgico, oggi si parla di quello cinese e delle sue incognite: in mezzo una fase di declino durata cent’anni: prima il 1918 col crollo dell’Austria e l’improvvisa perifericità di Trieste nello Stato italiano; poi il 1945 con la Cortina di ferro a separare il porto dal suo retroterra naturale. Oggi le cose sembrano giunte a un nuovo passaggio epocale, con opportunità e non piccoli rischi, il cui governo sul piano logistico è affidato al presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino.
A trecento anni dal 1719 torniamo a parlare di porto franco. È la svolta?
Penso proprio di sì. Tornano gli imperi e i blocchi globali in competizione: le zone franche acquisiscono valore perché offrono benefici doganali in un mondo che si chiude fra dazi e scontri commerciali.
Che somiglianze tra la scommessa FreeEste e le fortune del porto austriaco?
Il punto franco previsto dal trattato di pace del 1947 permette di attirare oggi come allora l’economia espressa da nuovi soggetti globali, che hanno cominciato a creare ricchezza. E poi sta maturando il post 1989: Trieste torna a essere gateway verso i mercati dell’ex area socialista preclusa per decenni. Possiamo proporci non più come periferico porto del mercato nazionale, ma come scalo di un mercato continentale tornato lo stesso di tre secoli fa.
Quanto conta l’Allegato VIII contenuto nel trattato di pace?
I punti franchi sono una possibilità che ho scoperto dopo essere arrivato qui, pur avendo una certa esperienza di trasporti. E le opzioni sono maggiori di quelle del tempo asburgico.
Ad esempio?
Le zone franche sono viste male perché agevolano l’importazione di merci, con danno per gli attori nazionali. Ma possono essere utili alle nostre imprese: l’esportatore italiano riceve in accredito l’iva solo quando la merce lascia il paese, ma spostando i beni in un nostro magazzino in porto franco incassa subito l’iva e si riserva di esportare al momento giusto. Se individuiamo filiere regionali con vocazione all’export, possiamo creare un’alleanza tra mondo produttivo e porto.
L’alleanza con la manifattura significa però soprattutto avere imprese che producano all’interno di FreeEste, ma nei capannoni le aziende ancora non si vedono…
I capannoni sono pieni di merci e fanno intanto attività logistica. La manifattura sta per arrivare. Abbiamo ricevuto molte aziende e ne abbiamo selezionate una decina. Appena la Dogana approverà le proposte, l’Autorità autorizzerà gli insediamenti a FreeEste o altrove, perché tutto il porto è zona franca.
Passa da qui la crescita occupazionale?
L’economia di un territorio sta nella manifattura e il porto può esserne volano. Dico sempre che il futuro del porto non è il porto, destinato a essere sempre più automatizzato. Le attività classiche di carico e scarico ci danno numeri importanti, ma il valore si crea con la blue economy e una manifattura innovativa e più leggera.
Trieste si trova immersa in una rivoluzione geopolitica dei traffici...
L’investimento cinese sul Pireo è stato sbagliato dal punto di vista trasportistico, ma ora la Cina guarda all’Europa anche da Sud e non solo da Nord: una rivoluzione copernicana nella visione globale dei traffici. Oggi l’Europa tira verso Est dal punto di vista economico e verso il Mediterraneo da quello logistico. L’Adriatico può giocare la sua partita, ma serve capacità di distribuire le merci.
Servono ferrovia e treni?
Trieste sta sviluppando servizi ferroviari che vanno in tutta Europa e non passa inosservato. Qui è difficile distruggere e ricostruire: e allora miglioriamo ciò che esiste. Come la galleria di circonvallazione costruita negli anni Sessanta per passare sotto la città: a Trieste non ha fatto solo l’Austria ma anche l’Italia.
Oggi Trieste è aiutata dalla politica del governo italiano?
L’Ue non ha chiarezza diplomatica e commerciale. E così, in una fase di trasformazione epocale, non è semplice mettere in atto una politica nazionale verso attori globali. Nel governo esponenti come Giovanni Tria e Michele Geraci hanno buoni rapporti con la Cina: questo è bene, ma servono anche rapporti con gli Usa, perché siamo e restiamo parte della Nato. E gli americani ci stanno mostrando che si può fare business in armonia con i cinesi.
Quanto contano i cinesi per Trieste?
Se non esistessero, non si parlerebbe del possibile ruolo globale di Trieste. Ma dialogare con grandi soggetti richiede attenzione: ci apriamo dopo aver lavorato quattro anni, perché solo ora abbiamo in mano la situazione e una visione chiara, che ci permette di accettare alcune proposte e rifiutare quelle che non ci convengono.
In che caso rientrano le proposte di China Merchants Group e Cccc?
Cmg sta trattando per la Piattaforma logistica: le trattative coi cinesi vanno per le lunghe, ma ci si sono i presupposti per chiudere nelle prossime settimane. Per quanto riguarda gli altri, il presidente Xi Jinping sarà presto in Italia e qualcosa sapremo probabilmente in quell’occasione.
Cosa si aspetta dall’incontro col presidente Mattarella?
Nostri investimenti in Cina e in paesi terzi. È la prova di quella reciprocità di cui c’è bisogno per sapere che siamo davanti all’interlocutore giusto: su questo sono fiducioso. Fincantieri ha appena chiuso un accordo con China Shipbuilding per costruire navi in Cina: la nostra leadership si rafforza aprendoci e non chiudendoci.
Sbagliano allora politici e industriali contrari all’arrivo del Dragone?
Queste cose vanno oltre la politica trasportistica: qualcuno paventa che i cinesi vogliano altro ed è giusto stare attenti, ma oggi non è semplice presentarsi a Trieste e impossessarsi di infrastrutture strategiche.
Si può trattare davvero alla pari?
È un non problema. Qualsiasi soggetto arriva in porto, deve seguire regole precise, che abbia gli occhi a mandorla o meno. Chi viene qui deve passare per l’ufficio dell’Autorità portuale: il controllo è in mano nostra. Noi abbiamo le nostre idee e ci sono i vincoli delle leggi: non siamo un paese allo sbando e aperto a invasioni. Trieste non è in vendita come il Pireo.
Al Pireo lei preferisce l’esempio di Singapore…
Singapore, Honk Kong, Dubai, Duisburg. In prospettiva Trieste può diventare uno di questi luoghi, che hanno costruito le proprie fortune sul fatto di essere importanti dal punto di vista geografico e logistico. Luoghi sì piccoli, ma in grado di dettare le regole del gioco al mondo, dimostrando così capacità di reazione e flessibilità, parlando con innovazione di cose che non esistono ancora. –
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