Dado Lombardi: «Il basket di oggi? Mi annoia terribilmente. Tutti giocano allo stesso modo»
TRIESTE «Il basket di oggi? Mi annoia terribilmente. Tutti giocano allo stesso modo. Vabbè, comandano i soldi, nessuno rischia. Vedo squadre di B Dilettanti che prendono gente di 35-37 anni pagandola un'iradiddio. Ma dico io: o investi per andare sù oppure punta sui giovani. E la serie A? Ci trovi Siena e Napoli, la contrapposizione massima. Mah...»
Gianfranco Lombardi è ora un signore che vive con distacco il mondo della pallacanestro. Eppure basta ricordargli il trentennale della storica promozione della sua Hurlingham ed ecco che il vulcano si riaccende. «Io nella mia carriera da giocatore e da allenatore ho provato di tutto. Da coach ho firmato otto promozioni. Beh, quella con Trieste è stata la più bella e non lo dico per cortesia. È successo un miracolo: una città, una squadra e una società erano diventate una cosa sola. Eravamo tutti consapevoli che stavamo vivendo un grande momento. I giocatori erano diventati personaggi, io giravo per Trieste e tutti mi salutavano, mi incoraggiavano. Trieste ha avuto altre squadre, la Stefanel era sicuramente più forte, eppure quell'Hurlingham rimarrà sempre nel cuore di tutti».
Gli anni e i ricordi stemperano le incomprensioni. Adesso "Dado" ha zuccherini per tutti, però trent'anni quel vocione tonante faceva tremare i muri di Chiarbola. «Ma sì, con qualcuno ho litigato. Baiguera, ad esempio, aveva classe ed era innamorato del basket. Peccato però che lo fosse anche di tante altre cose. Lo capisco, era giovane, forse con gli anni è diventato saggio...Dordei (scomparso due anni fa. ndr) era un tipo estroso, chiacchierato, quando arrivò da noi. Il segreto per gestirlo era mettergli soggezione, creare una linea di demarcazione. Se sbandava finiva in panchina. Ma quando girava, era un gran bel giocatore». E si avverte emozione nella voce di Lombardi.
Il capitano era Meneghèl. Adesso nel basket i ruoli si chiamano con i numeri, come al Lotto. Beh, il mio 4 era Mèneghel, un lottatore. Ritossa e Tonut i giovani di talento. Ma Ritossa è stato decisivo tante volte. Tonut era un ragazzino ma con la struttura fisica che aveva ci regalò forza. Jacuzzo. Era bravissimo, poteva giocare in diversi ruoli. Caio Scolini, il play di riserva. Ha tutta la mia ammirazione. Era il simbolo di una squadra operaia. Non potevamo metterci lo smoking o uno Zegna, dovevamo vestire la tuta da lavoro. E fatemi citare anche Forza che era una guardia fortissima a livello fisico e Oeser che era forte come Baiguera». Forza e Oeser non facevano più parte dell'Hurlingham promossa in A1. Ma se siamo saliti è stato anche merito loro. Negli anni precedenti ci hanno aiutato, e non poco, a creare quel fenomeno. La stella era Rich Laurel, eppure inizialmente non le piaceva. Verità o leggenda metropolitana, lei avrebbe rimproverato Ettore Zalateo "Ma chi mi hai portato? È magro, tossisce, sembra un tubercoloso..."
È vero, io Laurel non lo volevo. Sognavo un bestione da piazzare sotto canestro e invece mi arriva questo: piccolo, rachitico. Quando lo vidi mi prese un colpo. Fu una grande intuizione di Zalateo. Mi lasciò sfogare per uno o due giorni, poi si rifece sotto e mi disse una cosa straordinaria su Laurel: "Con lui possiamo rimetterci in centimetri ma è di una classe incredibile perché segna e fa segnare". Aveva ragione lui. Io di americani ne ho avuti molti, Morse compreso. Eppure la generosità di Laurel è stata fantastica, mi ha fatto vincere una partita giocando con un versamento a una coscia.
L'altro straniero era James Bradley. È stata un'altra grande mossa di mercato. Tante squadre lo avevano snobbato. Non aveva il fisico per giocare centro, non aveva la velocità dell'ala, giusto qualche buon movimento sotto. Era stato seconda scelta Nba ma senza futuro. Ci ha dato quattro volte di più di quanto ci aspettassimo: prendeva botte e non diceva niente, aveva entusiasmo e una grandissima percentuale di realizzazione. Non segnava tantissimo però non sprecava un tiro. Lei ha detto che la società e lo staff erano una cosa sola. Ammiravo moltissimo Zalateo. Riusciva a fare tutto e bene senza svenarsi economicamente, era sempre vicino ai giocatori. Da quella volta Trieste ha gli assicuratori più alti d'Italia... (ride) Ma proprio questa è la dimostrazione che pensava anche a garantire un avvenire ai suoi atleti, tutti ragazzi seri. Era un dirigente che si ricordava che dietro a ogni giocatore c'era una famiglia. E vi pare poco? (r.d.)
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