Da Zara a Virgin, i grandi marchi che puntavano su Porto Vecchio
Si chiamavano Virgin, Zara, Brico, Mediaworld. Erano le grandi catene commerciali venute a saggiare i terreni di Porto vecchio con un buon interesse a insediarsi nell’area. Tutti marchi internazionali, a partire proprio dall’eclettica Virgin, una fenomenale costellazione che si dirama dai centri fitness alla vendita di cosmetici, gioielli, cd e dvd, abiti, libri, ad agenzie di viaggio e mille altri rivoli di attività in tutto il mondo. Passando poi per l’ormai mitica alta moda a basso prezzo della spagnola Zara, che tante volte è sembrata sbarcare a Trieste, e mai l’ha fatto per davvero.
Poi c’era Fincantieri, che aveva praticamente già una bozza pronta di accordo con i soci di Portocittà. Per fare che cosa in Porto vecchio? Prendersi cura degli yacht e megayacht che i concessionari contavano di ormeggiare nei due nuovi porticcioli, trasportando i natanti “di casa” in Porto vecchio fino ai cantieri di Monfalcone, per riportarli pronti al varo stagionale. Un servizio di rimessaggio extracomodo per diportisti di extralusso, senza bisogno di trasformare il comprensorio in un’officina meccanica.
C’era anche come si sa l’industriale veneto Francesco Fracasso che di suo produce guard-rail e altre infrastrutture viarie, e pure lui (che in seguito chiese e non ottenne di farsi socio con i Maltauro e Rizzani-de Eccher assieme alle banche) era stato chiamato come tramite per intercettare aziende da insediare nell’antico scalo. L’intermediario maggiore era una struttura specializzata, la Italiana centri commerciali (Icc).
Tutti questi investitori si sommavano ad altri, anche non triestini, per esempio una casa di cura che si era anche interessata in Regione per le pratiche di accreditamento sanitario, una società (o cooperativa) che gestisce residenze sanitarie assistite e altri centri di servizio paramedico e alla persona. E infine c’erano i titolari dell’hotel Duchi d’Aosta e del vicino Vis-à-Vis nonché del Riviera a Grignano: avevano preso in considerazione l’ipotesi di un altro e nuovo albergo a mezza strada tra i due. E c’è stato anche il Centro internazionale per l’ingegneria genetica e le biotecnologie (Icgeb) a manifestamente dichiarare il proprio interesse a trasferirsi in quell’ampio spazio in città.
Com’è finita si sa, i concessionari hanno già raccontato come i potenziali investitori siano rimasti a guardare da lontano, «disincentivati da una situazione confusa, da un terreno che restava sottoposto a un regime giuridico di Punto franco che implica chiusura al pubblico, nonostante le diverse previsioni del Piano regolatore e del testo della concessione». Da qui la clamorosa decisione di chiedere con un ricorso al Tar la “nullità” dell’atto siglato nel 2010, definendo «un oggetto impossibile» il Porto Vecchio che in precedenza avevano definito «un approdo al futuro».
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