Da Trieste a Parigi: la passerella delle gallerie dove nacque il “consumismo”
di Arianna Boria
È arrivata al secolo la Gallerie Lafayette, la vecchia signora dei grandi magazzini europei, dallo chic consunto ma sempre snob, con la sua celebre cupola a vetri, coperchio scintillante dei sogni di consumo che diventano alla portata di tutti. Fondata nel 1895, nasce ufficialmente l’8 ottobre 1912, quando si inaugura la copertura firmata dall’architetto Ferdinand Chanut, esempio del gusto floreale di fine secolo e del progresso della tecnologia.
È l’ultima in ordine di tempo, in un’ideale passerella degli innovativi “contenitori” trasparenti, prima del commercio poi del consumismo nascente di qua e di là dell’oceano, che tocca anche Trieste con la sua più modesta, ma non meno moderna Galleria Tergesteo. È la copertura in ferro e vetro, manifestazione del primo eclettismo, che ne fa un unicum nel panorama triestino e la colloca in una prospettiva di architettura europea. Lì sotto, scambi e contrattazioni commerciali, feste danzanti, struscio. E sulla facciata che guarda piazza della Borsa, come in molti edifici dello spesso periodo dove donne procaci simboleggiano l’economia, il gruppo scultoreo di Pietro Zandomeneghi raffigura Trieste come la dea del mare Tetide, su una conchiglia trainata da cavalli che escono dai flutti, con chiara allusione alle sue fortune economiche legate al mare. A destra, Mercurio, dio del commercio, fra le braccia della dea un bimbetto che simboleggia l’industria nascente.
Prima delle “Lafayette”, in Massachussets, Roland Hussey Macy, tra il 1843 e il 1855, apre i suoi primi punti vendita, per arrivare, nel 1858, a lanciare a New York il Macy’s, avanguardia della catena di grande distribuzione che oggi ha circa ottocento negozi in tutti gli Stati Uniti. Il 1849 è l’anno del debutto in grande stile di Harrod’s: da Cable Street, nell’East end della capitale, dove l’ha fondato Charles Henry Harrod, droghiere dell’Essex, in quell’anno il grande magazzino viene trasferito nel quartiere di Knightsbridge, con le gigantesche e pirotecniche vetrine a due passi da Hyde Park che continuano ancora oggi a calamitare legioni di shopaholic appena sbarcati a Londra.
Per “La Rinascente” di Milano, così ribattezzata da d’Annunzio dopo un incendio devastante, bisogna attendere il 1865, quando i fratelli Bocconi, Luigi e Ferdinando, aprono in via Santa Radegonda il primo negozio italiano di vestiti confezionati.
Anche qui l’esempio da imitare è oltralpe, Le Bon Marché di Parigi, quel “buon affare” che proprio in questi giorni festeggia 160 anni. Le Bon Marché - dal 1984 Le Bon Marché Rive Gauche, dopo l’entrata del gruppo del lusso Lvmh - viene ideato da Aristide Boucicaut, che i giornali del tempo, non smentendo la proverbiale grandeur, definiscono “l’uomo che tutta l’America ci invidia”. Appoggiato dalla moglie Marguerite Guérin, nel 1952 diventa socio dei fratelli Videau, già proprietari del negozio “Au Bon Marché” sulla Rive Gauche, e reinventa il modo di fare aquisti: grande offerta di prodotti - dagli abiti, agli accessori ai gioielli - prezzo fisso, entrata libera e possibilità di cambiare la merce. Le etichette col prezzo sono ben in vista, decollano i saldi, in gennaio inventa “le mois du blanc”, mese con allestimenti speciali, tutti bianchi, e merce scontata per svuotare il magazzino.
Altre vetrate celebri sono quelle del KaDeWe di Berlino nel quartiere di Schöneberg, inaugurato da Emil Schaudt nel 1907: sette piani per gli acquisti, in particolare di lusso, che durante la guerra fredda diventano il simbolo dell’opulenza occidentale da opporre ai desolati “cugini” al di là del muro. Sulla Piazza Rossa, a Mosca, si affacciano invece i grandi magazzini Gum, capo. lavoro dell’architettura della fine del diciannovesimo secolo, attraversato da passerelle che collegano le varie gallerie e sormontato da splendide vetrate. Da qui la luce che entra a fiotti, negli anni sovietici illumina scaffali vuoti, code interminabili e personale scorbutico, oggi fa risplendere il mausoleo del capitalismo trionfante.
E Trieste? Praticamente coeva agli yankee Macy’s, la Galleria Tergesteo sorge tra il 1840 e il 1842 e porta la firma dell’architetto e ingegnere triestino di origine belga Francesco Bruyn, che realizza un compromesso tra il progetto di Antonio Buttazzoni, autore di diverse case private in città, e quello del milanese Andrea Pizzala, entrambi datati 1836.
Anche nel percorso professionale di Pizzala c’è una celebre galleria, la de’ Cristoforis di Milano tra corso Vittorio Emanuele, via San Pietro dell’Orto e piazza del Liberty, primo passaggio coperto mai realizzato in Italia. Costruita in un solo anno, viene inaugurata con una fastosa festa da ballo il 29 settembre 1832. Costa una cifra esorbitante, un milione e mezzo di lire, presto recuperati con l’affitto di settanta lussuosi negozi che vi si affacciano, tre cui il caffè Gnocchi e la libreria di Ulderico Hoepli. Non a caso viene chiamata “contrada de veder”, la strada di vetro, dove l’illuminazione è garantita da ventotto lanterne a “corrente d’aria” e amplificata da specchi di riverbero.
Se le “Lafayette” gratificano l’opulenta borghesia ottocentesca e promettono prodotti per le tasche di tutti, il Tergesteo, sorto per iniziativa di una società di azionisti, serve sia da luogo di commercio sia come punto d’incontro per la popolazione, collocato appunto accanto al teatro e alla Borsa. La galleria a crociera, un tempo aperta su tutti e quattro i lati, facilita gli scambi, la socialità, il passeggio.
Bruyn riprende le lesene del progetto di Pizzala per la “de Cristoforis”, che, con i suoi locali pienti di artisti della “scapigliatura”, fa da prototipo al Tergesteo. Anche la copertura triestina è mutuata da quella milanese, a spioventi con intelaiatura metallica, un elemento all’avanguardia nell’architettura italiana. Per trovare altri esempi italiani del genere bisognerà aspettare il 1865, la galleria Vittorio Emanuele II a Milano, che, dopo trent’anni di leadership incontrastata come strada della moda, sostituisce con il suo sfarzo e la sua imponenza l’abbattuta “de Cristoforis”.
Nel 1957 l’architetto Alessandro Psacharopulo è chiamato a sostituire l’originaria copertura del Tergesteo, che non può essere conservata per motivi statici. Al suo posto, una volta a sesto ribassato in vetro-cemento, con le parti terminali a padiglione, e cupola contrale con diffusori quadrati in vetro, da cui entra la luce naturale. È ancora una volta una soluzione moderna, ma ben in armonia con le forme ottocentesche, rimaste inalterate dopo il restauro.
Oggi, per la festa dei suoi cent’anni, la Gallerie Lafayette ha affidato all’archistar Remi Koolhaas il progetto di una mostra che, dal 17 ottobre, racconterà le trasformazioni del grande magazzino e quelle della Francia.
La Galleria Tergesteo è rinata, il 14 luglio 2011, dopo un restauro durato quattro anni, sfoggiando l’originaria copertura in vetro. Da allora hanno aperto due negozi di abbigliamento e un parrucchiere, l’unico ad avere l’entrata che dà sull’interno. Si attendono libreria e bar-ristorante. Per ora, a scaldare il passeggio, si sono visti solo i figuranti ottocenteschi del giorno dell’inaugurazione.
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