Da Longera a Samatorza tutti pazzi per le osmize

Con l’avvio della bella stagione ripartono i tour a caccia della “frasca” ideale Offerta enogastronomica sempre più ricca. A farsi ingolosire persino Slow Food
Un tagliere di invitanti affettati, piatto forte dei menu delle osmize
Un tagliere di invitanti affettati, piatto forte dei menu delle osmize

TRIESTE. Di questi tempi, con la gente costretta spesso e volentieri ad accontentarsi di mondi e paesaggi virtuali, tradizioni e tipicità assumono un valore particolarmente prezioso e risultano sempre più apprezzate e desiderate. Si spiega anche così il successo delle osmize, vere e proprie istituzioni della provincia triestina, che vantano un’affezionata clientela, sempre a caccia della “frasca” favorita.

Il termine osmiza deriva dallo sloveno osem, cioè otto, in riferimento al numero dei giorni in cui, in passato, il viticoltore poteva vendere in casa i vini prodotti nel proprio podere. Oggi l’apertura delle frasche varia da Comune a Comune, secondo un preciso regolamento alla cui base sta il quantitativo prodotto in ettolitri. «Per tanta produzione, dunque, tanti giorni d’apertura», spiega da Longera Damjan Glavina, la cui frasca apre in questi giorni ma sarà nuovamente accessibile nei prossimi mesi. Glavina, come diversi suoi colleghi, preferisce suddividere il periodo di mescita in diversi periodi dell’anno.

Nata nel periodo austroungarico, l’osmiza assume vesti diverse nel resto della regione, dove per esempio il consumo di salumi e formaggi non risulta possibile come nella provincia di Trieste. Scomparsi i grandi bevitori per paura dell’etilometro e per la crescita di una nuova sensibilità igienista, la frasca continua tuttavia a essere visitata da una clientela variegata e composita. Piace a tutti la genuinità, il rustico contatto di primo mano con una civiltà contadina altrimenti vissuta su libri e internet, il paesaggio che spesso rappresenta il valore aggiunto per chi settimanalmente convive con stanze lillipuziane e open space invadenti e maleodoranti. Così l’antico rito di alzare il calice assieme agli amici sotto la verde pergola, magari godendosi un panorama bucolico e boschivo, assume un valore impagabile per chi sgomita quotidianamente nel caos cittadino.

Ma le diverse frasche che di primavera spuntano un po’ ovunque, soprattutto sul Carso, sono oggi frequentate anche da tanti studenti forestieri, da turisti, e pure da quei clienti che apprezzano un particolare vino o affettato. Le osmize del terzo millennio infatti hanno differenziato l’offerta: accanto agli uvaggi rossi e bianchi, diversi conduttori stanno imbottigliando terrani, malvasie e vitovske con successo. Alcuni possono offrire addirittura delle verdure innaffiate con il proprio prezioso extra vergine d’oliva prevalentemente ottenuto con l’autoctona Bianchera. Nella frasca il menù è sostanzialmente composto dalle immortali uova sode, formaggio, ma soprattutto insaccati, per la maggior parte prodotti in casa. «Noi proponiamo ai nostri clienti solo prosciutti e salami caserecci – affermano orgogliosi Franc e Tomaz da Malchina – ricavati dalla macellazione di una cinquantina di maiali che alleviamo personalmente ogni anno».

Con i propri maiali Silvano Ferluga, titolare di una storica osmiza in quel di Laijnari, sulla collina di Roiano, prepara le sue ben note tartine con un pesto al lardo che ben si accompagna con il vino della casa. La sua frasca, aperta tradizionalmente nel periodo natalizio e nelle prime due settimane di maggio, è oggetto in questi giorni di pellegrinaggio non solo da parte dell’affezionata clientela, ma anche dal presidio “Slow Food”, a conferma di come questo tipo di esercizio sia oggetto di studio e approfondimento anche da parte di istituzioni culturali enogastronomiche di certificato livello culturale.

Sempre più specializzata e attenta ai gusti degli ospiti, l’osmiza mette a disposizione addirittura il parcheggio e altri comfort. A Longera, frazione dove ortocultura e viticoltura sono ancora vive e pimpanti, l’osmiza del già citato Glavina offre spaziosi ambienti interni, altrettanti esterni, la possibilità di parcheggiare e, soprattutto, di poter visitare l’orto degradante verso il torrente principale dell’adiacente Farneto e di scegliersi la verdura gradita. Etilometri a parte, la vecchia e cara osmiza non molla la presa e dunque continua a tenere botta pure nel terzo millennio.

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