Da Londra e Vienna cordate interessate a palazzo Carciotti
Sala Tripcovich: non pervenuta. Ex caserma Rossetti: non pervenuta. Palazzo Carciotti: qualcosa è pervenuto.
Ormai stringono i tempi per venire a capo di alcuni dei più tosti dossier del terzo mandato Dipiazza.
Non vengono segnalate novità sul mancato abbattimento dell’ex stazione autocorriere in largo Città di Santos, dove, a fronte della resiliente dirigenza ministeriale, il sindaco tenta la carta politica.
E nessuna risposta pare sia giunta dalla “sgr” di Cassa depositi e prestiti (Cdp) sulla riconversione della dismessa struttura militare di via Rossetti, candidata ad accogliere un campus scolastico. A giugno Cdp chiedeva 17 milioni, Dipiazza rilanciava a 13, Cdp proponeva anche un affitto annuo da 800.000 euro: ma là siamo rimasti.
Sul terzo “macigno” sembra invece aprirsi qualche promettente spiraglio: due possibili cordate estere si sono fatte vive per saggiare l’acquisto di palazzo Carciotti. Una è londinese, l’altra è viennese.
L’ipotesi anglica si prospetta la più ghiotta: a trainare un gruppo di investitori c’è un triestino, trasferitosi nella “swinging”, intenzionato non solo al business immobiliare ma anche a coinvolgere la città in un progetto artistico-culturale, di cui al momento non è lecito anticipare i contenuti. I “londinesi”, che si muovono attraverso professionisti locali, hanno già parlato con gli uffici comunali e stanno predisponendo una lettera di intenti che dovrebbe essere inoltrata al Municipio entro un mese. L’intera operazione è avvolta in una spessa coltre di riservatezza, da cui filtra la volontà di oltre Manica di non realizzare alberghi, che cominciano a essere un po’ troppi, soprattutto durante una congiuntura sfavorevole per viaggi lavorativi e turistici.
La cordata viennese sembra comporsi di numerosi partecipanti e anch’essa si avvale di “sherpa” triestini. Si parla di una ventina di operatori che sarebbe interessata a riconvertire il Carciotti in un “aparthotel”, più o meno quello che pensa di fare Gabriele Ritossa nell’ex distretto militare sotto San Giusto.
Il Comune ha rinunciato, dopo quattro vani esperimenti, a mettere all’asta il suo gioiello neoclassico, per cui si affida alla trattativa privata. Il prezzo nominale è di 14,9 milioni di euro, un prezzo che gli uffici ritengono indicativo, cioè la quotazione dipenderà dalla qualità e dell’affidabilità dell’offerente. Si rammenti che nel settembre 2018 la stima iniziale era di 22,7 milioni, cosicchè nel giro di un biennio l’immobile progettato da Matteo Pertsch ha già visto scendere di un terzo il suo valore.
In Municipio si aspettavano ben altro riscontro da Invimit, la “sgr” controllata dal ministero dell’Economia che in primavera aveva chiesto il congelamento di eventuali trattative per poter presentare una proposta a settembre. Ora, non solo il termine di metà settembre è abbondantemente scaduto, Invimit non si è neppure fatta viva per spiegare i motivi che hanno motivato il disimpegno dal palazzo triestino. Un silenzio incomprensibile. Il Comune aveva riposto sentiti auspici nella “sgr”, soprattutto per la sua caratura pubblica. Invimit sta vendendo uffici e alloggi nel palazzo Dettelbach in via Santa Caterina, mentre resta tutto fermo sul fronte di palazzo Artelli, il curioso stabile di via Università disegnato da Giorgio Polli e da Antonio Bruni al principio del Novecento. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo