Da Illy a Generali: a Trieste un "esercito" di lavoratori resta in smart working

TRIESTE Sono decine di migliaia, in Friuli Venezia Giulia, i lavoratori ancora in smart working. Una stima esatta al momento è difficile, ma dalle grandi realtà come Generali, illy e Allianz fino gli uffici più piccoli, passando per le pubbliche amministrazioni, per molti impiegati l’impegno da casa, ormai, prosegue dal lockdown di marzo. E se da una parte le aziende stanno valutando fino a quando proseguire con questa modalità, e a quanto è dato sapere in alcuni casi si fa concreta persino l’ipotesi di adottarla definitivamente, dall’altra i sindacati raccolgono intanto le richieste di tante persone che chiedono una precisa regolarizzazione dell’attività da casa, con contratti specifici. A molti, comunque, l’idea di continuare a lavorare in remoto non dispiace. Anzi. La possibilità di gestire tempi e spazi autonomamente trova riscontri positivi. A non gradire la novità, invece, c’è un settore che sugli uffici basa una parte non trascurabile del proprio business: la ristorazione.
Chi soffre
Secondo una stima di Confesercenti di qualche giorno fa, a livello nazionale, lo smart working ha portato a una riduzione dei consumi in pubblici esercizi e ristoranti quantificabile in circa 250 milioni di euro al mese. Soffrono soprattutto i locali nei centri cittadini, per il crollo degli incassi su colazioni, pause caffè e pranzi. In Fvg, come detto, sono migliaia su migliaia i dipendenti attualmente fuori ufficio. E i numeri sono in evoluzione.
Le grandi aziende
Alla illycaffè a operare in presenza fisica sono gli addetti delle funzioni produttive e di quelle strettamente a supporto. Il resto del personale lavora in smart working: circa il 90% degli impiegati, che in determinati momenti però possono svolgere specifiche attività che richiedono la presenza nei soliti spazi. «Il rientro massivo negli uffici non è previsto fino a che non vi saranno le condizioni che garantiscano un’assoluta sicurezza per tutti – fa sapere l’azienda – e comunque lo smart working che già rappresentava per illycaffè una modalità di lavoro sperimentata prima della pandemia lo sarà a maggior ragione in seguito all’esperienza maturata negli ultimi mesi. Le scelte organizzative adottate dall’azienda sono state all’insegna di un criterio di massima prudenza e sicurezza che ha consentito la tutela della salute dei collaboratori e la continuità operativa».
Anche per Generali la sperimentazione dello smart working era già partita da anni, ben prima del lockdown. La maggior parte dei 2.285 addetti del gruppo assicurativo in Fvg sono concentrati a Trieste: qui, in base ai dati di fine luglio, su un totale di 2.184 lavoratori, 2.050 sono da remoto, «e la salute delle persone», spiegano, «è stata e rimane la priorità con misure per garantire la massima tutela». Già da fine gennaio, Generali Italia ha costituito una Task Force che sta costantemente monitorando l’evolversi della situazione, e che ha individuato e messo in campo una serie di disposizioni molto precise su tutela della salute delle persone, sicurezza nelle sedi, spostamenti e accessi, estensione del lavoro da remoto per i dipendenti e digitalizzazione della rete.
Non solo. Durante il lockdown e anche nei mesi seguenti, i dipendenti di Generali in smart working hanno ricevuto alcuni doni a casa, da parte del gruppo assicurativo, particolarmente apprezzati dai dipendenti, che hanno condiviso le foto dei regali sui social. Uova di cioccolata a Pasqua e più di recente un kit con vari oggetti per rendere più piacevole il lavoro da casa, compresi i semini da piantare.

A Trieste anche il 90% dei dipendenti Allianz lavora da casa. Sono 300, quelli degli uffici Fincantieri nelle sedi regionali a lavorare in remoto. Alla Siot, ancora, sono una trentina in tutto, anche se due volte a settimana è contemplata la presenza in ufficio, al netto della possibilità di andarci comunque, se necessario. Alla Camera di Commercio invece sono una decina a Trieste e nove a Gorizia le persone che alternano, anche in questo caso, attività in presenza e smart working.
Ma poi ci sono tante altre realtà private, più o meno piccole, che contano magari pochi impiegati, dirottati sempre in remoto anche per la difficoltà di adeguare gli spazi tra distanziamenti necessari, sanificazioni o obbligo di mascherina in caso di ambienti ridotti.
Uffici pubblici
Nelle sedi della Regione, sempre in base ai dati di fine luglio, 788 impiegati continuano da casa. «Da un paio di settimane il numero sta costantemente diminuendo», spiega l’assessore regionale alla Funzione pubblica Pierpaolo Roberti: «C’è un graduale rientro, fino a una ventina di giorni fa l’indicazione per le pubbliche amministrazioni era appunto quella dello smart working. Ora la situazione cambia, è arrivato un protocollo per la sicurezza dei dipendenti pubblici che indica i requisiti per riaprire gli uffici».
In base al Decreto Rilancio, nel settore pubblico lo smart working si potrà applicare fino al 31 dicembre 2020. Alcuni uffici in Friuli Venezia Giulia hanno già ripreso l'attività completamente, altri parzialmente, altri ancora si riservano di decidere nelle prossime settimane. Il Comune di Trieste ad esempio ha fissato la fine del lavoro in remoto a metà settembre, salvo ulteriori proroghe, se sarà necessario. Al momento a lavorare da casa sono 1.300 impiegati comunali, il 56% del totale. Una situazione che ha creato non pochi disagi alla cittadinanza, alle prese con sportelli chiusi o a ranghi ridotti: così i tempi per rinnovare una carta di identità, per ottenere un certificato anagrafico, per un cambio di residenza hanno finito per allungarsi e, a volte, sono diventati davvero biblici.
Per i rappresentanti della Cgil servono contratti specifici, che inquadrino nel dettaglio lo smart working. «Un’esigenza urgente, percepita a Trieste, che non si discosta dal resto della regione e che è evidente anche a livello nazionale - spiega Nicola Dal Maso della Cgil Trieste -. Durante il lockdown, alla luce dell’ improvvisa emergenza, molti lavoratori si sono adattati a casa, considerando la situazione generale. Ma con il protrarsi dell’impiego in remoto, avvertono adesso il bisogno di regole precise. Al momento i comparti dove lo smart working è ancora ampiamente diffuso sono i servizi bancari e assicurativi, e ancora tante grandi aziende, ma è anche il pubblico a continuare su questa strada e a richiedere contratti chiari». Cosa va regolamentato nel dettaglio? «Ad esempio - prosegue Dal Maso - ancora oggi alcuni possono contare su computer o altre attrezzature aziendali, ma molti devono utilizzare i propri dispositivi elettronici. Quindi la postazione lavorativa va disciplinata, così come i “costi nascosti”, quello che da casa le persone spendono per l’elettricità e la connessione. Anche i buoni pasto, quasi ovunque, con questa modalità non vengono considerati. C’è poi la questione del dilatamento dei tempi e il fatto che lo straordinario non viene spesso riconosciuto». C’è poi una specifica questione “di genere”.
«Spesso - aggiunge il sindacalista della Cgil triestina - constatiamo che le donne si trovano a gestire, oltre al lavoro sul computer, anche i carichi domestici, con la conseguenza che l’impegno dalla propria abitazione diventa qualcosa di pesante e faticoso. Anche su questo fronte servono regole. Finora possiamo dire che a livello nazionale c’è stata una gestione dello smart working un po’ “all’italiana” vale a dire in un certo senso “alla buona”, d’ora in poi è necessario intervenire con regole ad hoc, sia per i part time che per i full time. Al momento - ricorda Dal Maso - solo Fincantieri ha concluso un contratto in accordo con i sindacati».
E anche sul web la discussione sul tema è aperta da mesi, tra web e social, con dibattiti e confronti che tengono conto anche della possibilità che, per molti, il rientro in ufficio non avverrà. O comunque non come prima dell’emergenza Covid19.
Riproduzione riservata © Il Piccolo