Da Fedriga e Rosato fino a Serracchiani: il filotto di capigruppo partiti da Trieste
TRIESTE C’è un filone recente della politica triestina che conduce all’incarico di capogruppo in Parlamento. Da Massimiliano Fedriga a Ettore Rosato, da Stefano Patuanelli a Debora Serracchiani, di fresca nomina: i partiti più importanti hanno deciso che sì, toccava a loro. Al triestino doc come a quello di adozione, e infine, due giorni fa, anche all’ex presidente della Regione, sempre più legata alla città, non solo per lavoro.
«Dobbiamo esserne contenti», dice Roberto Antonione. Lui, tra le tante stellette, ha anche quella di vicecapogruppo al Senato, numero due di Renato Schifani. «Ma il ruolo di capogruppo è molto altro, è anzi fondamentale – sottolinea l’ex forzista –: si va alle consultazioni dal Capo dello Stato, si indicano i presidenti di commissione, si danno pareri sulla parte legislativa che non possono non essere ascoltati. Tolte le presidenze delle Camere, non ci sono cariche più rilevanti ed è dunque un riconoscimento importante per i diretti interessati e, indirettamente, anche per Trieste».
Massimiliano Fedriga diventa capogruppo nel luglio 2014. Alle spalle c’erano già l’esperienza da vice, dal gennaio 2012, anno in cui il posto di presidente dei deputati del Carroccio passa da Marco Reguzzoni a Gianpaolo Dozzo. Fedriga sostituisce proprio Dozzo ed è l’ennesimo passo avanti di una carriera fulminante: nel 2003 segretario provinciale della Lega a Trieste, nel 2008 deputato, nel 2013 il secondo mandato, un anno dopo la segreteria Fvg. Il volto e i modi da bravo ragazzo, da far vedere quanto più possibile in tv, ma anche, nelle cronache di quella legislatura, i 15 giorni di sospensione (e poi altri quattro) per intemperanze e botta e risposta velenosi con l’allora presidente della Camera Laura Boldrini.
Nella stessa legislatura, nel 2014, è anche l’anno in cui Ettore Rosato, già segretario con delega d’aula del gruppo Pd e poi membro dell’ufficio di presidenza dei dem, viene eletto vicecapogruppo vicario alla Camera in sostituzione della lettiana Paola De Micheli, nominata sottosegretario all’Economia nel governo Renzi. Un anno dopo, a giugno, arriva la promozione dopo il passo indietro di Roberto Speranza in polemica con la decisione di porre la fiducia sull’Italicum («Ettore è il candidato naturale in una logica di continuità», le parole di Renzi). Ed è proprio sulla legge elettorale che Rosato, nel cerchio magico dei renziani, caratterizza il suo mandato, diventando “papà” di quel Rosatellum con il quale il Paese va al voto nel 2018. «Un grande augurio a Debora – commenta il coordinatore di Italia Viva –. Le nostre strade si sono divise, ma ho avuto sempre stima nei suoi confronti e mi fa piacere che prenda il posto che fu mio in un ufficio che ho occupato con orgoglio e senso di responsabilità».
La carriera l’ha fatta, eccome, anche Stefano Patuanelli, dopo la gavetta tra i grillini. Da quando è arrivato a Roma, via Rosatellum, è entrato in due governi: il Conte due, da ministro dello Sviluppo economico, e il Draghi, da ministro dell’Agricoltura. Ma la prima vetrina è appunto quale presidente del Movimento 5 Stelle a Palazzo Madama, ruolo che Patuanelli riveste per l’intera durata del primo governo Conte. «Stefano è stato il primo capogruppo di inizio legislatura e, anche se per esperienza indiretta, è stato particolarmente apprezzato – assicura la deputata Sabrina De Carlo –. A lui va infatti il merito di avere affrontato temi fondamentali per il Paese, facendo fronte con una forza politica, la Lega, completamente diversa dalla nostra». —
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