Da cantinette a locali che servono pasti caldi, la lenta evoluzione, senza tradire le radici
Le tradizioni si evolvono e si adattano ai gusti e al mutare delle mode. Certo, di strada le Osmize ne hanno fatta tanta da quando un settecentesco editto imperiale permetteva ai contadini di vendere i loro prodotti in esubero nella cantina di casa. Oggi alcune cantine sono rimaste tali e, ai primi tepori primaverili, gli avventori si appollaiano festosi dove capita per gioire ancora dell’ombolo di maiale macellato alcuni mesi prima, delle melanzane sott’olio preparate dalla padrona di casa l’estate precedente o del vino che la maggior parte vende ancora sfuso servendolo nei quartini o nelle brocche da mezzo litro. Altre, hanno seguito l’onda della massificazione al prezzo di qualche compromesso, ad esempio quello di servire piatti cucinati. Come “Alle Torri di Slivia”, dove dopo gli gnocchi o i biechi, si può anche fare un’escursione alle grotte adiacenti e addirittura dormire. Si segnalano anche casi di mutazione genetica: Alice Crepaldi di Domio, oltre all’osmiza gestisce una fattoria didattica.
Alcune cantine si sono trasformate progressivamente in agriturismo o in ristoranti con le volte di pietra. Le terrazze con le panche di legno, si sono convertite in affacci mozzafiato sul Golfo di Trieste per regalare agli ospiti non solo un’emozione enogastronomica ma una vera e propria esperienza sensoriale. Il bello, è che è rimasto inalterato lo spirito delle origini, perché, alla fine, i fattori sono sempre gli stessi. Recentemente, per aumentare i periodi di apertura, alcune Osmize hanno aperto come “agriturismo a freddo”: Pipan-Klaric di Malchina qualche volta apre come osmiza e altre come agriturismo a freddo, mettendo agli incroci solo la freccia senza “frasca”, come da regolamento. Lo stesso, Josko Colja e David Sardo a Samatorza e Fabec di Malchina che gestiscono un alloggio agrituristico con cucina attrezzata. A Sgonico Stanislav Gruden ha restaurato l’ex stalla trasformandola in una bella sala in pietra carsica.
La cultura delle Osmize, quindi si è evoluta e modernizzata. Rarissime quelle che mantengono il nome derivato dal toponimo, cioè dal posto in cui sono nate, quasi sempre di etimologia slovena (ad esempio Kndleitvi o v Kutu a Prosecco). Alcune, basti pensare alle due famosissime di Prepotto, Zidarich e Skerk, sono diventate dei templi del vino di qualità, grazie alla costante e faticosa ricerca dei proprietari che parte dalla vigna per arrivare in cantine dove nulla è lasciato al caso.
Non esiste una “corporazione delle Osmize”, non c’è un portavoce o un coordinatore ma, nell’epoca del digitale, non poteva mancare uno strumento che capitalizzasse questo patrimonio di cultura locale, il sito www.osmize.com. Poiché le aperture delle Osmize sono, per così dire, “umorali” con aperture personalizzate. Sì perché le Osmize contemporanee non sono amate solo da studenti in perenne bolletta o da “clape” di diversamente giovani in quiescenza, ma sono diventate meta persino di scolaresche in gita scolastica. E c’è anche chi ha pensato al Kit per il tour delle Osmize, contenente lo stretto necessario per poter affrontare preparati il faticoso percorso. Composto da un bicchiere modello Vienna, classico da ottavo, è completo di portabicchiere a quadri bianchi e rossi, bandana per poter riparare il capo dal sole e una guida con gli indirizzi di tutte le Osmize. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo