Da Brezigar a Covacich: per 568 cognomi l’etichetta di triestini doc

Tutti originari del posto. Lo studio è partito dall’elenco telefonico del ’93. Il 57,7% appartiene a immigrati
Di Gabriella Ziani

Brezigar e Covacich. Furlanich e Kukich. Palcich e Nicolich. Smotlak e Stefanovic. Tutti triestini autentici, anzi “autoctoni”, discendenti da un antenato comune che potrebbe risalire al Concilio di Trento (1545-1563) quando divenne obbligatorio per i parroci registrare nascite e matrimoni. «Perché noi siamo triestini e Trieste è una città speciale». Quante volte l’abbiamo sentito ripetere come gesto di pretesa, di rivalsa o di scusa? Questo sentirci “diversi” ci porta con pericolosa frequenza dall’allegria alla disperazione, e anche ci affligge con paure, lentezze e crisi di identità. Ma adesso abbiamo una diagnosi per rispondere alla fatale domanda: chi siamo. E siamo un “misto” di antica data.

Infatti, prima risposta: a Trieste per una buona parte vivono famiglie che possono considerarsi “autoctone”, cioé da secoli discendenti da un solo capostipite. Anche se il loro cognome suona straniero. Tali si possono considerare in 568. La città di confine (su questi difficili confini orientali, e anche quelli altoatesini) abbassa invece di molto gli indici di emigrazione. Per un’altra fetta la città è frutto di forti immigrazioni da altre regioni d’Italia (non si parla qui di Stati esteri, fenomeno al “top” in epoca asburgica). Sono arrivi da zone molto distanti, circa 300 chilometri; per un’altra parte siamo andati altrove, con mete altrettanto distanti e quindi non in regione.

Il “movimento” non avviene allo stesso modo nelle altre province del Friuli Venezia Giulia. Udine ha quasi gli stessi ceppi familiari che l’abitavano tra il XIII e XVII secolo (statica) ma è stata fortissimo luogo di emigrazione. Su Pordenone e Gorizia si sono avuti nei secoli molti movimenti, ma a distanza piccola, quasi di borgo.

A dare la matematica sentenza è uno studio di singolare originalità, che ha preso in esame i cognomi più frequenti di tutta Italia usando gli elenchi telefonici del 1993. Incrociando i dati con quelli dei registri delle parrocchie sui matrimoni tra consanguinei, e “mappando” la frequenza con cui questi stessi cognomi si ritrovano nelle 97 province italiane, un gruppo di studiosi è riuscito a determinare quali sono i cognomi autoctoni di ogni territorio, chi è luogo di immigrazione e chi di emigrazione (e dove). Ovviamente, Roma è polo di immigrazione, Torino anche, da Lecce soltanto si scappa, Bolzano è la più ferma e chiusa in se stessa, e la Toscana che si considera diretta discendente di padre Dante è invece un “corridoio” di passaggio.

Secondo Alessio Boattini e Davide Pettener del dipartimento di Biologia dell’Università di Bologna, Antonella Lisa, Ornella Fiorani, Gianna Zei dell’Istituto di Genetica molecolare del Cnr di Pavia, e Franz Manni, genetista ferrarese che lavora al Museo nazionale di Storia naturale di Parigi, per Trieste la diagnosi è la seguente: il 48,24% dei cognomi autoctoni è emigrato, ma ben il 57,7% è frutto di immigrazione. Il saldo migratorio per ceppi familiari è rimasto appena appena positivo del 9,45% (Roma +46%, Torino +41,8%).

Per fare un paragone, gli autoctoni di Udine hanno migrato molto (saldo negativo di -17,5%), con una percentuale di immigrati solo del 32,4%. Gorizia ha alti indici di movimento, ma un saldo finale solo del 2,1% e Pordenone avendo altrettanto più “autoctoni” emigrati che immigrati è addirittura in zona negativa (-6,7%). Poco attrattiva.

Lo studio, avendo elaborato i dati sulla base di un elenco telefonico italiano, non ha naturalmente potuto tener conto delle eventuali trasmigrazioni oltreconfine. Ma è ugualmente intrigante per il capitolo “identità”.

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