Da Belgrado a Sarajevo, le città soffocate dall’inquinamento
BELGRADO Il mondo cambia, sotto i colpi della pandemia. Ma qualcosa rimane sempre uguale. È la cappa di smog che, ogni inverno, puntualmente copre i vicini Balcani, prodotta dalla circolazione di vecchie auto, sistemi di riscaldamento obsoleti spesso a nafta o carbone, impianti industriali e di teleriscaldamento, antiquate centrali elettriche alimentate a lignite. E l’attuale stagione invernale non sta facendo eccezione, con varie città della regione – in particolare Sarajevo, Skopje, Pristina e Belgrado – che hanno superato più volte nelle scorse settimane i livelli di guardia sul fronte inquinamento.
Anche ieri il quadro è stato confermato. A Sarajevo, Goradze, Skopje, Niksić, Lazarevac, aria «molto inquinata», a Novi Pazar, Smederevo, Niš, «insalubre» o «pericolosa per le fasce a rischio», alcuni dei dati raccolti ieri pomeriggio dal portale “World Air Quality Project”. Il quadro potrebbe anche essere peggiore di quanto si creda, e ciò diventa fonte di polemiche. È il caso della Serbia, al top in Europa per l’aria mefitica e fra i dieci Paesi peggiori al mondo per morti per smog (175 per centomila abitanti, secondo i dati della Global Alliance in Health and Pollution, Gahp), dove tiene banco il caso di Milenko Jovanović, già capo della sezione del monitoraggio dell’aria della locale Agenzia dell’ambiente. Ex, perché Jovanović sarebbe stato fatto fuori, hanno denunciato decine di Ong e associazioni ambientaliste, per aver denunciato “ritocchi” alle misurazioni dello smog nel Paese balcanico. Ora ad esempio l’aria in Serbia è considerata inquinata se si superano i 55 microgrammi di Pm2.5, contro i 40 precedenti, trasmettendo coi dati falsati una percezione di finta sicurezza nei cittadini, ha sintetizzato il portale specializzato Balkan Green Energy.
Non servono app e misurazioni per comprendere, annusando l’aria, il problema smog anche nella vicina Bosnia. Pure tra Sarajevo e Mostar non si registrano significativi miglioramenti sul fronte smog e anche per questo la comunità internazionale ha iniziato a “bacchettare” le istituzioni locali. I bosniaci hanno «diritto all’aria pulita» ed è ora «che si facciano i conti» «con un problema che mette seriamente a rischio la salute di tutti», ha ammonito a fine 2020 il rappresentante Ue a Sarajevo, Johann Sattler, ricordando che l’Ue ha messo a disposizione nove miliardi per investimenti nei Balcani, inclusa l’energia verde. «Ma la Bosnia non ha finora compiuto alcun passo per la protezione dell’ambiente», il duro j’accuse. Stesso discorso vale per la Macedonia, dove lo smog è tornato ad affumicare le città con l’arrivo del freddo. Smog fuori controllo anche in Kosovo. Essere parte della Ue cambia però poco le cose. Lo si vede in Bulgaria, già sanzionata da Bruxelles per l’inazione nel controllo dell’inquinamento, dove nelle scorse settimane i social sono esplosi di critiche per l’aria irrespirabile, un problema ormai cronico di tutti i Balcani, dentro e fuori la Ue. Secondo lo studio del Gahp, reso pubblico nel 2019, dopo la Serbia gli Stati con più vittime per smog in Europa sono stati appunto la Bulgaria (137), seguita da Bosnia-Erzegovina (125), Croazia (108), Romania (106) e Ungheria (105). —
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