Da Bartoli a Lorenz, architetti compatti nel votare a favore della demolizione

C’è però chi pone paletti. «Sì alle ruspe ma a patto di creare uno spazio bellissimo» 

le reazioni

“Se si guarda la piazza, con l’affaccio dei suoi edifici, non c’è dubbio che la sala Tripcovich è un servizio che adesso non serve più. Ci sarebbero tutte le giustificazioni per eliminarlo. La piazza vale la pena riportarla a com’era un tempo». Ne è convinto Giovanni Paolo Bartoli, architetto triestino, curatore di diversi restauri cittadini, tra cui quello di palazzo Revoltella. È uno dei professionisti a favore della demolizione del teatro di largo Silos. «Se però il ministero ha detto no - aggiunge-, invito a non arrabbiarsi e tornare invece a discutere: solo così si può ottenere qualcosa, bisogna avere pazienza».

A favore della demolizione anche l’architetto Eurgenio Meli, che ha recentemente portato a termine il restauro di Casa Bartoli in piazza della Borsa. «Non tutti i progetti di persone importanti nascono come bei figli – osserva -: la Tripcovich non è un grande esempio di architettura moderna. E inoltre, con la demolizione, si aprirebbe una scenografia, valorizzando le porte di Porto vecchio». Identifica l’ingresso dell'antico scalo come importante elemento a favore della demolizione anche l’architetto austriaco, da tempo legato alla città, Peter Lorenz. «L’edificio non è stato costruito per l’eternità – spiega -. Solo se Trieste sarà capace di sfruttare le chance del Porto vecchio, che storicamente aveva un proprio spazio prospiciente, allora vale la pena abbattere la Tripcovich. Però la piazza deve diventare bellissima come piazza Unità e al momento siamo lontani. Allora meglio lasciare la Tripcovich. Propongo un concorso internazionale. Un nuovo teatro multiuso potrebbe essere invece unico al mondo se realizzato sul molo 1 o 2 o 3 o 4 del Porto vecchio, come abbiamo proposto noi in passato».

Favorevole all’abbattimento anche Thomas Bisiani, presidente dell’Ordine degli architetti, ma ad alcune condizioni: «Se si decide di demolire o rinunciare a un manufatto che ha un suo valore, anche solo testimoniale, bisogna compensare l’azione con qualcosa di qualità. L’area potrebbe in alternativa diventare un grande spazio aperto coperto: mantengo la memoria dell’oggetto però lo trasformo».

Tira fuori dal cilindro un progetto di riqualificazione della Tripcovich da lui firmato una ventina d’anni fa l’architetto Enzo Angiolini. «L’avevamo riprogettata con due ampliamenti modesti per adeguare camerini e foyer e serviva al ballo e alle compagnie esterne: aveva il palco più grande del Verdi. Per me va salvata solo se fa parte di un progetto vero, integrato con il sistema culturale triestino. La giunta non crede nelle sue potenzialità ma lasciarla così è la cosa più sbagliata». —

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