Da Barriera a Valmaura il sesso della porta accanto

TRIESTE Dice che lavora poco, che più di due, tre clienti al giorno non li fa. Che sta qui, a Trieste, un paio di settimane. Chiusa in casa. E poi via a Udine, e il mese prossimo a Firenze. Vanna ha vent’anni, è di Praga. Vanna ha accantonato per un po’ di mesi, forse anni, la semplicità di uscire con le amiche a prendere un caffè, fare shopping. Ridere e sorridere. Innamorarsi. Vanna, con quella sottile veste nera stretta ai fianchi, capelli corvini, pelle chiara, ha smesso di essere ragazza. È mezzanotte passata. Risponde al telefono dopo quattro squilli, ma solo con numero visibile. «Pronto... ciao... il mio regalo parte da 50 “rose”, 100 per fare tutto...».
L’appuntamento è mezz’ora dopo in uno stabile del popolare rione di Barriera. Le lucciole d’appartamento non hanno orari. Non come quelle di strada, quasi sparite a Trieste, perché la prostituzione ormai si è spostata negli alloggi. Ed è esplosa in un fenomeno incontrollabile. Merito di internet e dei siti “vetrina”, in cui brasiliane, cinesi, coreane, rumene e italiane, insieme a gay e trans, vendono il loro corpo. Chi a 50, chi a 70 o 100 euro a prestazione. Ce ne sono a decine. Chiunque può avere nel proprio palazzo l’escort delle porta accanto, senza saperlo.
Alcune lavorano pure a domicilio, ma spesso ricevono in abitazioni prese in affitto, all’insaputa dei locatari. O in pieno accordo. Ed è qui, in questo caso, che partono arresti e sequestri: quando il proprietario della casa è consapevole di ciò che avviene all’interno. Se gli investigatori riescono a dimostrarlo, magari con intercettazioni, o portando a galla affitti curiosamente troppo alti, scatta l'accusa per il reato di induzione, favoreggiamento o sfruttamento. Perché, se prostituirsi non è un reato, dare un appartamento per farlo lo è.
Lo scorso dicembre è stato arrestato un sessantottenne originario di Trento: aveva trasformato il suo alloggio di via Ruggero Manna in un via vai a luci rosse. Di tanto in tanto la magistratura interviene pure sui siti web: il favoreggiamento, per chi lucra su questi portali hot, è evidente. Ritracciare i responsabili, spesso soggetti che operano all’estero, richiede mesi e mesi di indagini. Impossibile anche tratteggiare una mappa esatta dei luoghi del sesso. Le lucciole sono dappertutto, in ogni quartiere delle città. A San Giacomo, nelle vie attorno al giardino pubblico di via Giulia e al Tribunale, nella zona dell’ospedale Maggiore, nelle vicinanze della Stazione ferroviaria. Ma anche in periferia, a Valmaura e dintorni. E in centro, tanto negli appartamenti, quanto in residence o affittacamere. Tailandesi, domenicane, portoricane, portoghesi. Funziona così: basta dare un’occhiata a uno dei tanti annunci online, telefonare e accordarsi per l’incontro. È sufficiente mezz’ora o dieci minuti prima. Chi sta dall’altra parte della cornetta non indica mai il numero civico esatto dell’appartamento: spesso l’alloggio “x” sta nel palazzo di fronte a quello indicato, o qualche metro dopo. Un modo per non dare nell’occhio. E se la foto dell’annuncio non dovesse corrispondere alla donna che sta attendendo in babydoll e lingerie? Che si fa? I più avveduti non rischiano. Contattano il fedele amico tassista, il pozzo sicuro dei segreti. Il cliente sale, chiama la prostituta e poi, arrivato a destinazione, domanda all’autista di attendere: deve controllare che la donna sia davvero come appare nella descrizione hot del sito web. Entra nell’appartamento e verifica. Se è soddisfatto, il tassista se ne può andare, altrimenti fa retromarcia e si va a caccia altrove.
Quanti ne ha visti Vanna così nella sua abitazione di Barriera? Sta al secondo piano con un’amica, anche lei dell’Est, con cui si prostituisce. Hanno deciso di venire assieme dalla Repubblica Ceca. Nessuno le ha costrette. «È una scelta nostra. Nel nostro Paese non c’è lavoro, la mia famiglia non ha soldi», racconta la ragazza. L’appartamento è ampio, arredi poveri ed essenziali. Porta i clienti in una stanza a luci soffuse, quasi buia. Dal cestino, colmo di fazzoletti, si intravedono marche di preservativi. «Sì, due o tre clienti al giorno... farò questo per un anno credo - spiega in un italiano stentato - vorrei mettere da parte un po’ di soldi, poi vedremo...». Non riceve stranieri. «L’altro giorno è venuto un africano, ma al telefono diceva di essere italiano, non mi sono fidata e l'ho mandato via. È venuta la mia amica ad aiutarmi».
Centro o periferia, lo schema è lo stesso: la telefonata con il numero visibile e l’appuntamento poco dopo. «Vieni tra dieci minuti, ti aspetto... richiamami quando sei qua sotto... a tra poco, un bacio», sussurra una voce forzatamente dolce. È venezuelana, avrà più di quarant’anni. Sta nel sottoscala di un palazzo in zona Valmaura: «Entra...». Sottoveste e intimo nero, tacco alto. È un monolocale umile e sporco. Sul letto ha sistemato una coperta di lana sudicia dove fa accomodare i clienti. Parla poco e piano perché teme che i vicini la sentano. Ma le foto sullo scaffale raccontano di una famiglia, di un passato felice. «Sì ho dei figli». Abita a Trieste da qualche anno, non è mai riuscita ad avere un lavoro. «Devo guadagnarmi da vivere così». È notte inoltrata, sarebbe andata volentieri a dormire.
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