Da Barbara ad Antonio, un viaggio lungo 300 storie: ecco chi sono i Triestini
In Posta centrale abbiamo appeso una selezione di foto visitabile gratuitamente, ma ogni incontro ci ha restituito un pezzo di noi
TRIESTE Un lungo viaggio, fatto di parole che cucite assieme ci hanno restituito uno straordinario valore: quello rappresentato da 300 storie e dalle rispettive esistenze alle quali queste narrazioni appartengono.
Siamo partiti da Barbara, il primo marzo, e ci siamo fermati al racconto di Antonio, con il quale abbiamo deciso di salutare il 2021 e, soprattutto, di festeggiare i 140 anni di storia del nostro quotidiano locale. In mezzo tantissimi altri nomi, a formare un unico assembramento di pensieri, suggestioni, sogni, paure e speranze.
La rubrica “I Triestini” si prende una pausa, esaurito il compito per il quale era stata pensata: scrivere la storia collettiva di una comunità attraverso le persone incontrate casualmente per la strada. Data voce alla trecentesima persona, è giunto il momento di mettere un punto e di andare a capo, provando però a tracciare prima un bilancio di un’operazione bella e complessa: straordinariamente bella perché ci ha permesso di rilevare uno spaccato rappresentativo di questo territorio, aprendo delle finestre su vite comuni e meravigliosamente autentiche; complessa perchè non è stata la scelta più facile, quella di presentarsi alle persone senza l’urgenza di raccontare un accadimento, senza il buon viatico di una conferenza stampa.
Eppure il triestino, ancora una volta, ha dimostrato di non essere diffidente come spesso, quasi sempre a torto, viene raccontato. Le persone incontrate si sono aperte in maniera insospettabile difronte a degli sconosciuti, arrivando a fare luce anche su vicende molto personali, scegliendo oltretutto di metterci la faccia difronte all’obiettivo di Massimo Cetin, fotografo che ha raccontato questa avventura per immagini.
Facciamo subito chiarezza su un punto, che in alcuni casi, anche sulla pagina Instagram del Piccolo dove le storie sono state pubblicate, è stato dibattuto. Triestino è chi coglie l’essenza di questa città, chi ne cattura la bellezza e a volte il paradosso. Triestino è chi ha contaminato la propria identità con quella di questo territorio, pur essendo nato altrove. Non abbiamo chiesto agli intervistati delle patenti di triestinità, sempre che queste esistano e non siano invece il frutto di contaminazioni che si realizzano difronte a un comune orizzonte.
In più occasioni abbiamo raccolto dei frammenti di una Trieste che non esiste più e che, come spesso accade per ciò che riguarda il passato, viene riportata a galla attraverso l’esercizio della nostalgia. «In piazza Ponterosso, negli anni Sessanta, vendevo vino, ciabatte e detersivi alla clientela che veniva dalla Jugoslavia», ci ha raccontato Carlo con il rammarico della giovinezza che gli è scivolata via. Erano «bei tempi» anche quelli riportati alla memoria da Marcello, quando in porto, negli anni Settanta, «si lavorava duramente, ma si stava anche assieme. Più di quanto accada ora. E poi si guadagnava bene: circa due milioni di lire al mese».
Questo viaggio, durato nove mesi, ci ha fatto attraversare tutto il territorio, da Muggia al Carso, passando ovviamente per tutti i rioni cittadini. Strade, piazze, associazioni, piccole botteghe, ma anche abitazioni private: la curiosità ci ha messo a contatto con delle situazioni di cui non sospettavamo nemmeno l’esistenza; ci ha fatto vedere da vicino dei mestieri che purtroppo sembrano essere destinati a una mesta e rapida estinzione. Come nel caso di Antonio, che nella settimana che precede la Barcolana ci ha aperto le porte del Faro della Vittoria, di cui è guardiano da oltre dieci anni. «Ogni due mesi, sostituisco la lampada di uno dei più grandi fari al mondo, di cui pulisco i rulli e gli ingranaggi e di cui mantengo oliato ogni singolo meccanismo – le sue parole -. Lo farò ancora per un anno, prima di andare in pensione. Temo che al mio posto non verrà assunto nessun altro guardiano».
Una pausa, un silenzio, un sospiro un po’ più lungo: molte delle persone incontrate, dopo un attimo di titubanza, hanno superato il confine del pudore e si sono lasciate andare a un racconto intimo, di quelli che solitamente si sceglie di non consegnare agli sconosciuti. Marco e Maddalena, ad esempio, hanno svelato la loro storia d’amore, nata sulle ceneri dei rispettivi matrimoni. «Un bacio, dato all’improvviso, ha segnato l’inizio di qualcosa e la fine di qualcos’altro – hanno confidato con del tenero imbarazzo -. Veniamo dalla provincia di Padova e abbiamo scelto questa città per fare la nostra prima vacanza di coppia».
Trieste ha fatto da scenario a ognuna di queste storie, divenendone in molti casi la protagonista: colta, raffinata, ma pur sempre popolare; mai banale. —
LA MOSTRA
La mostra I Triestini raccoglie le foto e i testi usciti su Il Piccolo in questi mesi, Allestita nel Palazzo delle Poste di piazza Vittorio Veneto con il sostegno di Despar, si può visitare gratuitamente sino alla fine di gennaio negli orari di apertura degli sportelli postali.
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