Curiel, una saga tutta al femminile che è fatta di abiti da sogno

A Palazzo Costanzi una mostra dedicata a Raffaella Curiel
TRIESTE La mostra dedicata a Raffaella Curiel, che viene inaugurata domani a Palazzo Costanzi (a cura di Marianna Accerboni per la Fidapa con vari sponsor e con il sostegno del ”Piccolo”; rimarrà aperta fino al 18 luglio), ci racconta una moda che ci siamo quasi dimenticati. Ci racconta le donne che la sognavano, la vivevano, la indossavano. Ci racconta di quando comprarsi un abito era un investimento; di quando le donne non indossavano jeans, soprattutto non stracciati e bucati; di quando le scarpe di primavera erano rigorosamente blu con il mezzo tacco; di quando esistevano ancora gli abiti da pomeriggio e da cocktail... Ma ci racconta, soprattutto, una storia al femminile. Quella di Raffaella, certo, ma anche di Ortensia e Gigliola. Una saga al femminile, quasi un romanzo; un romanzo dove non ci sono pagine, ma abiti, quelli che vedrete in mostra.

Dove comincia il romanzo? A Trieste, ovviamente. Comincia nell'atelier primo Novecento di Ortensia Curiel, a Palazzo Smolars. Ortensia, la prozia.


Ortensia, ovvero Mitteleuropa. E signore mitteleuropee che da Ortensia ordinano i loro abiti. Poi viene Gigliola, madre di Raffaella, a cui appunto è dedicata la mostra. E la figlia di Raffaella, ancora Gigliola. Quattro generazioni, anzi cinque: c'è anche una piccola Ortensia...


Ma torniamo alla sartoria inizio Novecento di Ortensia, in centro accanto alla libreria di Saba. Lì iniziano le prime pagine del romanzo Curiel, quando nel mondo non c'erano ancora stilisti ma sarte; quando l'importante non erano i marchi o i "brand", ma le stoffe, da tenere in mano, da misurare, da tagliare; quando il vestito nasceva sulla carta, e nell'occhio della sarta che guardava, misurava, aggiustava. Forbici, dunque. Ago e filo.

E la ricchezza delle stoffe, dei decori. Un'arte quasi persa, che oggi rimane, trionfante, solo nella haute couture, nell'opulenza e nel fasto di certe sfilate parigine. Un gusto quasi perso, oggi che il rito di andare dalla sarta è stato sostituito da quello dei saldi da H&M o da Max Mara, o magari dell'acquisto on line: un doppio salto mortale, non si tocca più la stoffa, ma solo il tasto del computer, per comprare l'abito desiderato, senza neppure provarlo, su eBay o su yoox. Che cosa ne direbbe Ortensia, con quel nome da romanzo? Ma forse non ci interessa saperlo. Ci interessa invece la piccola Gigliola, che da piccola andava nella sartoria della zia Ortensia e cuciva vestiti per le bambole. E, immaginiamo, guardava, toccava, ammirava tutti quei tessuti. Tra gli anni Venti e Trenta, un incendio distrusse il laboratorio. Ma ormai l'innamoramento per la moda era cominciato: così Gigliola passa dai vestiti delle bambole agli schizzi professionali, passa da Trieste a Milano, dove apre il suo atelier.


Niente più bambole, ma "curiellini". Mai sentiti? Per forza: ora si dice "little black dress", il piccolo abito nero che sta bene con tutto, va bene con tutto. Quelli inventati da Gigliola Curiel - e che Camilla Cederna, la grande giornalista di costume, definì "scemarelli" - erano semplici e chic, pensati per le donne soprattutto milanesi che in quegli anni, l'inizio dei Sessanta, cominciavano a correre per le strade della città, a lavorare, a fare carriera; donne che avevano bisogno di un solo abito, semplice, pratico, a cui aggiungere magari solo un accessorio, una spilla, una giacca.


Con i suoi "scemarelli" Gigliola Curiel sbarca a New York, in uno di quei grandi magazzini di Manhattan rimasti mito: Bergdorf Goodman. E a regalarci la cronaca di quello sbarco modaiolo fu, ancora una volta, Camilla Cederna. Poi, nel 1969, Gigliola muore. Non aveva ancora cinquant'anni. Aveva ancora abiti da disegnare, "curiellini" da inventare. Però c'è la figlia, Raffaella. Però c'è, fortissimo, resistente, il dna Curiel: l'amore per le stoffe, la visione di nuovi abiti, di nuove donne da vestire. E forse sono proprio le stoffe passate per la sartoria di Ortensia ad avere, in qualche modo romanzesco, influenzato Raffaella, che disegna vestiti rubando colori e suggestioni a quadri e pittori. Klimt, Picasso, Frida Kahlo, Depero, ma anche Jim Dine, finiscono in un grande caleidoscopio, finiscono in sfilata: sono i vestiti che vedrete in mostra. Vedrete anche quel che crea Raffaella, la quarta generazione: a partire dagli accessori, scarpe con dettagli in plastica trasparente, quasi pop. E la piccola Ortensia, se disegnerà, cosa disegnerà? Avrà ereditato anche lei il gusto per le stoffe, i colori, la voglia di inventare moda? C'è tempo, per capire quale sarà il prossimo capitolo della saga Curiel. Ma una cosa è sicura: quando usciremo dalla mostra a Palazzo Costanzi, e rientreremo nelle strade del 2010, ci troveremo sbalzati nella moda di oggi. La moda di oggi non è abiti da sera, ma jeans "baggy" e stracciati portati con le infradito di gomma, e magari una T-shirt con gli strass; la moda di oggi è Sarah Jessica Parker nell'ultimo film di Sex and the City; è sognare una "it-bag", una borsa che costa come un affitto, mentre magari ce la si può permettere solo in saldo da H&M, o tarocca da un venditore ambulante per strada. Questa è la moda, queste sono le tentazioni modaiole: forse ci piacciono, forse no. Ma magari, uscendo dalla mostra, sfioreremo una ragazza che proprio a Trieste sogna, disegna, immagina vestiti e colori; una ragazza che saprà, come le Curiel, trasformare tutto questo in abiti e sfilate. E partire per Milano, o New York. Ma con dentro Trieste, ancora.

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