Cullen: «Moda al museo? Spiega il nostro tempo»

È curatrice del Victoria & Albert Museum: «Dietro ai vestiti cerco storie interessanti»
Oriole Cullen (foto di Amber Rowland)
Oriole Cullen (foto di Amber Rowland)

LONDRA. Oriole Cullen, curatrice del dipartimento di ‘contemporary fashion’ del Victoria & Albert Museum di Londra (V&A), ha le idee ben chiare su cosa sia la moda e quale sia il suo ruolo. «Non è arte», ma allo stesso tempo «non deve nemmeno essere sminuita, perchè è uno strumento per catalogare uno specifico momento storico, sociale e di storia del design».

Laureata in Storia al Cordwainers college a Londra, ha iniziato la sua carriera al Museum of London, che - dice - «vanta una collezione fantastica di vestiti e tessuti». Dopo sette anni, nel 2006 è approdata al Victoria & Albert Museum con l’incarico di sviluppare ulteriormente “Fashion in Motion”, programma in calendario tre volte l’anno. In ogni appuntamento, l’iniziativa dedica un giorno a un designer diverso che, assieme al museo, organizza una mini sfilata retrospettiva o centrata su una specifica collezione (in passato il V&A ha lavorato con Alexander McQueen, Vivienne Westwood, Christian Lacroix e numerosi giovani designer, ndr).

Giurata dell’edizione 2015 di ITS, Oriole Cullen racconta al Piccolo il suo lavoro nella moda, dall’osservatorio di uno dei musei più importanti del mondo. E si dice convinta che la creatività sia più viva che mai.

Quando Diana Vreeland portò stilisti contemporanei al Metropolitan Museum di New York, fu accusata di fare una mossa puramente pubblicitaria. Oggi lo fanno tutti i musei più importanti...

«Veramente il V&A ha istituito la prima figura di “curatore di moda” nel 1957, quindi molto prima che Diana Vreeland portasse la moda contemporanea all'interno dei musei. Ovviamente lei è stata comunque una figura importante. La cosa curiosa è che nessuno solleva la stessa obiezione quando si tratta di artisti contemporanei, che sono ancora in vita e che stanno ancora vendendo le loro opere».

Che cosa pensa che sia cambiato dunque?

«Nel panorama londinese non credo sia cambiato nulla, se mai c'è stata un'evoluzione. Già nel 1974 il Museum of London aveva organizzato un'esposizione su Mary Quant. Tre anni prima, nel 1971, il V&A aveva proposto un'esposizione di Cecil Beaton chiamata 'Anthology of Fashion'... A Londra, c'è una grande tradizione “di moda al museo”. Globalmente, invece, credo sia un fenomeno sviluppatosi negli ultimi dieci anni. E penso che sia davvero bello. Ma la domanda è: perché è così rilevante? La moda è moda, non è arte. C'è sempre questa discussione. Ma perché la moda deve per forza essere considerata arte? Perché la moda deve essere qualcosa di cui ci si dovrebbe imbarazzare o per la quale bisogna chiedere scusa? È commerciale, è vero. Allo stesso tempo è anche uno strumento per catalogare uno specifico momento storico, sociale e la storia del design».

Cosa è per lei, dunque, la moda?

«La moda è moda. Ha un suo motivo per esistere, ha la sua storia, ha le sue stagioni, è un'industria molto organizzata, è un'industria creativa. È certamente espressione del designer e della sua visione, ma alla fine ognuno di loro sta comunque creando per un consumatore. Le persone spesso chiedono agli stilisti “per chi disegni la collezione”? Curiosamente non fanno mai la stessa domanda a un artista».

Crede che i concorsi di moda siano occasioni adatte a scovare talenti emergenti?

«Penso che se i talent scout sono bravi professionisti del settore, dovrebbero essere bravi a scovare i talenti ovunque. I concorsi sono sempre una buona idea perché danno allo studente qualcosa cui aspirare e su cui focalizzarsi, oltre che offrirgli un assaggio di vita reale. Inoltre, avere la possibilità di mostrare il tuo lavoro a esperti del settore è sempre positivo».

È la sua prima volta a Trieste? Cosa si aspetta di vedere?

«Sarà la mia prima volta in città e non vedo l'ora di visitare l'Orto botanico. Non vedo l'ora di vedere i lavori dei finalisti da vicino, vedere i vestiti, e conoscere i designer».

C'è qualcosa in particolare che cercherà nelle collezioni dei finalisti?

«Non lo so ancora, ho lavorato in diverse giurie per diversi progetti e so che c'è sempre un ethos differente per ogni concorso. È molto importante tenerlo a mente nel momento in cui si giudica. E un altro elemento da prendere in considerazione è quale sia il College da cui provengono i finalisti. Ad esempio, ci sono scuole che hanno dei tecnici a disposizione per aiutare molto gli studenti nei loro progetti finali, altri non li hanno. Anche questo è un punto da non sottovalutare».

Cos'è per lei il talento?

«È una combinazione tra grandi idee ed esecuzione, ma soprattutto credo che il talento vero si scorga dal lavoro che c'è dietro il pezzo presentato, nel portfolio. Se la storia che sta all’origine del progetto è veramente interessante, quella da sola può cambiare spesso la prospettiva dei giudici».

Che criteri usa quando sceglie pezzi per la collezione del V&A?

«Non siamo una galleria d'arte, quindi siamo sempre in contatto con designer contemporanei e alla ricerca di nuovi talenti, innovazione, oggetti che siano esplicativi del nostro tempo. Registriamo la moda, non cerchiamo di predirla, così se riteniamo che ci sia uno specifico movimento all'interno del sistema moda, puntiamo a collezionarne i pezzi».

Lei afferma che Londra da sempre si focalizza sulla creatività. Pensa che sia questo a fare la differenza tra scuole inglesi, francesi e italiane?

«Non mi sento di dare risposte assolute, e penso che ci siano studenti talentuosi da tutte le parti del mondo. Credo però che Londra sia molto portata per la creatività. Sono stata recentemente allo show del Royal College of Art, era incredibile. Credo che Zoe Broach (co-fondatrice della casa di moda Boudicca, ndr) abbia fatto un lavoro incredibile e che lo show fosse la manifestazione perfetta di questo modo di pensare».

C'è qualche designer contemporaneo che ammira?

«Ovviamente ci sono un sacco di designer talentuosi, anche tra i giovani. Ad esempio, per la serie 'Fashion in Motion' in aprile abbiamo avuto Grace Wales Bonner, è un giovane talento che ha appena finito il suo BA (laurea triennale, ndr). Le sue collezioni, dedicate all'universo maschile, sono ispirate alla cultura visuale dei neri e ricavate da tecniche artigianali africane. Ha preso spunto da dipinti e dai lavori di scrittori emergenti della letteratura nera degli anni '60 e '70, e anche dalla loro moda femminile. È molto dotata, ma ha anche una visione ben definita di cosa vuole fare e dove vuole arrivare».

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